Come fare a pezzi un’icona. Animata, certo. Partorita dal grembo affollato di Mtv, d’accordo. Segnata dalla serialità, è ovvio. Per pochi, forse. Ma pur sempre un’icona, almeno nel suo genere. Aeon Flux, col suo corpo tanto flessibile da non sembrar vero e tanto sensuale da sembrare di carne e sangue, con la sua sfrenatezza e la sua determinazione all’indipendenza, con la sua vocazione libertaria senza se e senza ma, è stata per i fan della serie un’eroina molto contemporanea proiettata in un universo post-contemporaneo. Si può, per di più partendo da una vagonata di buone idee, tradurre tutto questo in una storia che riesce ad annoiarti nel momento stesso in cui ti propina un corpo perfetto, come quello di Charlize Theron (che, tra l’altro, per mesi si è allenata passando attraverso lavoro acrobatico, karate, danza, capoeira, lotta e judo), caroselli di folgoranti scenografie, gli immancabili azzardi digitali e un cast di tutto rispetto (con dentro anche la sempre convincente Frances McDormand e Pete Postlethwaite)? Si può, procedendo con inutile e gratuito nervosismo al momento del montaggio, scrivendo una sceneggiatura sciatta, dirigendo a casaccio gli attori, sprecando molte occasioni registiche e, infine, disperdendo i tratti dell’originario DNA dell’eroina Aeon. Si può, anche con tanti soldi e tante buone intenzioni.
Lo ha fatto Karyn Kusama (Gran Premio della Giuria al Sundance nel 2000 per l’opera prima Girlfight, premiata anche come film d’esordio a Cannes) in questo Aeon Flux appena arrivato sui nostri schermi, traducendo a suo modo e sintetizzando in un lungometraggio parecchio schematico l’universo nato dalla sperimentazione fantascientifica di Peter Chung che, nel 1991, creava per Liquid Television di Mtv una serie animata di corti con al centro l’eroina Aeon Flux, appunto, che si muoveva (molto anarchicamente) tra robot, cloni, mutanti in cerca di libertà e di risposte. Qualche anno dopo, nel ’95, i corti diventarono più corposi, lunghi quasi trenta minuti ciascuno ed è allora che la Kusama li notò, memorizzò la forza e l’efficacia di quell’eroina femminista, sexy e agguerrita e la tirò fuori come un asso dalla manica nel momento in cui, dopo il successo dell’esordio, aveva voglia di una incursione in un genere, come quello fantascientifico, per lei ignoto ma da cui era certa che si potesse bene esplorare il mondo di oggi.
A ragione. Al progetto si incastrò a pennello la Theron che a sua volta, vestendo le succinte tutine di Aeon, qui, nell’anno 2415, desiderosa di vendetta, combattente per la resistenza contro il regime instaurato dall’ambiguo Goodchild dopo che un virus letale ha fatto fuori gran parte della popolazione mondiale, ha scelto di buttarsi, anima e, soprattutto, corpo, in un genere mai bazzicato sino ad oggi. «All’inizio ero spaventata, poi ho pensato che sarei dovuta restare il più fedele possibile agli elementi che Chung aveva creato per Aeon ed esaltarli al massimo. E ho tentato di fare di lei ciò che era all’origine, una donna molto forte, una libera pensatrice, che si pone molte domande sulla società che la circonda, è convinta che questa missione che dovrebbe portarla ad uccidere il dominatore di Bregna, il tiranno, cambierà la sua vita ma scoprirà che le cose sono più complesse di come appaiono» racconta l’attrice. E, poi, precisa: «Ho un po’ modellato il ruolo, come fosse argilla, perché per me era importante che fosse realistico, non l’ho mai inteso come futuristico o fantastico». Peccato che anche lei, come tutti gli altri, dentro questo film appaia solo come una maschera agitata in un contesto esagitato. E poco più.
di Silvia Di Paola