Nell’era degli ansiolitici, della solitudine e della depressione Renato De Maria costruisce una storia di quotidiana normalità volta a dimostrare come dai fallimenti e dagli abbandoni si possa sopravvivere ed anche piuttosto bene. Un messaggio rivolto in particolare a quell’universo femminile capace di struggersi per un uomo fuggito improvvisamente ed incomprensibilmente ma anche di rinascere all’interno di una nuova sperimentazione di sé. Nonostante l’incipit piuttosto drammatico e sofferente, la vicenda si dipana attraverso delle inaspettate situazioni leggere che tentano di ricostruire con particolare fedeltà il cammino di una femminilità ritrovata passo dopo passo negli occhi di uomini ben lontani dallo sfiorare la perfezione. Un prospetto dell’animo femminile che, pur passando attraverso atti puramente esterni ed estetici come un look rinnovato ed una irrinunciabile seduta dal parrucchiere, offre il riflesso delle attese e delle aspettative più profonde all’interno delle quali è semplice e naturale specchiarsi e riconoscersi. E se poi si riflette sul fatto che a costruire l’intera sceneggiatura siano stati due uomini (Renato De Maria e Francesco Piccolo) tutto appare ancor più fantastico ed inverosimile. Per non parlare di Isabella Ferrari che, abbandonati i panni rigorosi riesce a lasciarsi andare ad una entusiasmante e leggera vitalità, capace di renderla sensuale e morbida come non mai. A questo punto, esauriti gli elementi più evidenti, a donare vera ed essenziale forza narrativa ed espressiva ad Amatemi rimane la capacità registica di De Maria, in grado non solamente di offrire un prodotto cinematografico che non “ambisce” di certo al trono di fiction dell’anno, ma soprattutto capace di rappresentare un processo di guarigione attraverso possibilità stilistiche assolutamente moderne ed interessanti.
Sospesa in un non luogo privo di una precisa denominazione, all’interno di una dilatazione temporale piuttosto evidente Nina vive le sue sperimentazioni in una ambientazione postmoderna. Dalle immagini notturne della città, alle atmosfere buie dei locali tutto trasuda in qualche modo mistero ed incognite, sensazioni ed atmosfere che De Maria riesce a far fluire e fondere armoniosamente con il comico ed il grottesco rappresentato dagli uomini che circondano Nina. Ancora una volta salta agli occhi l’importanza di una scrittura compiuta senza fretta e con particolare mestiere. Una professionalità che mostra come nel cinema non sempre l’improvvisazione è segno di genialità. Sintetici, essenziali le figure maschili trovano la loro caratterizzazione efficace attraverso un atteggiamento (Valerio Mastandrea è un conquistatore da discoteca tendente alla tirchieria e destinato ad andare in bianco), un look (Marco Giallini è un architetto romantico e trasandato dedito alle canzoni melodiche anni ’70/’80) o una semplice frase (Giampalo Morelli è un istruttore di jogging aitante ma piuttosto inebetito il cui pensiero più elaborato è “mi togli la pasta e mi bevi due litri d’acqua al giorno”). Dunque ci troviamo di fronte ad un dramma/commedia dotato di stile e garbo, capace di conquistare le donne ed assolutamente consigliabile a molti uomini. Non sia mai che scoprano qualche cosa di nuovo…
di Tiziana Morganti