Film anomalo, America di Maurizio Scaparro, di grande impatto visivo, ma senza negare la struttura eminentemente teatrale della confezione stilistica. Nel suo caso, dire se è cinema o teatro riversato su digitale è ozioso, dal momento che il regista ha avuto l’accortezza di tagliare le situazione adatte solamente al proscenio, rendendo belli e seducenti, in ottanta minuti di proiezione, i primi piani di Max Malatesta che interpreta Karl Rossman, arrivato in America per aver avuto un figlio illegittimo da una domestica di venti anni più grande. L’attore ha le ingenuità, i farfugliamenti di chi interpreta un sedicenne che si ritrova in un paese sconfinato, crudele, orrendamente votato al dio denaro e al mito “fordista” dei primi anni del Novecento, del self made man; nondimeno gli altri interpreti, magistrali nel trasformismo delle loro maschere, con un plauso speciale per Enzo Turrin, che nel ruolo di Brunelda, una cantante che mischia capricci di artista con eccessi sessuali, mette un sagace tocco della crudeltà viziosa di Jean Genet. Un sogno visionario, una scommessa artistica, un messaggio di speranza e una buona dose di ironia.
Ecco gli ingredienti che rendono sapido un film-rapprentazione, che, di primo impatto, potrebbe deludere chi ha in massimo orrore le lentezze e le complessità di una trasposizione prima teatrale, poi cinematografica di un romanzo così vivido, tiepidamente ottimista, venato di intelligentissimo sarcasmo, come quello di Franz Kafka, riadattato da Masolino D’Amico e Fausto Malcovati e da Scaparro stesso, che giocoforza hanno ridimensionato un corpus letterario geniale ed incompiuto. Se non fosse cinema non sarebbe possibile la lungo carrellata sulla Praga new millennio, la casa natale dello scrittore, gli astanti nei bar del centro, prima di staccare per arrivare nel Teatro Valle di Roma ed iniziare con la storia. Ciò che più sembra premere a Scaparro non è tanto capire quando finisce il linguaggio teatrale, a vantaggio di quello cinematografico, perché non c’è forse risposta, quanto quello di evitare ogni fronzolo televisivo. In questa idea di ibrido culturale, la TV non ha nessuna cittadinanza, è il male assoluto di un modo di vivere pericoloso ed inquinante. L’omologazione serializzata spaventa l’uomo di teatro che sogna sale aggreganti e di pace che coinvolgano amanti di teatro e di cinema d’essai. Ma non sarà troppo tardi per l’utente medio che, a furia di fiction e di reality show, si nega quotidianamente anche nella sua specificità politica? E gli habitué del teatro non sono cariatidi in passerella, con tanto di abbonamento alla mano, o svippame più attento alla prima telecamera di turno? Ma ad un artista che vive di sogni togliamo la speranza di un cambiamento che alcuni di noi aspettano da fin troppo tempo? Decisamente no…
di Vincenzo Mazzaccaro