Fino al 27 maggio al teatro Ambra Jovinelli di Roma
Greg e Lillo fanno ancora centro. Stavolta, con l’aggiunta dello strepitoso Max Pajella. I tre, con un’ottima band, mettono la loro comicità surreale al servizio della musica, vera, dagli anni ’50 in su. Il tutto per quasi due ore di risate a ritmo di rock, blues, country, gospel, disco music, salsa e merengue, gli ingredienti vincenti della piece Chi erano i Jolly Rockers?, in scena al Teatro Ambra Jovinelli di Roma fino al 27 maggio con la regia di Mauro Mandolini. L’hanno chiamato docu-teatro musicale, ovvero un documentario a teatro, in cui attraverso finte interviste filmate, (a cui si sono prestati Arbore, Marco Presta, noti critici musicali, veri o inventati, interpretati da loro stessi, travestiti) divertenti sketch, imitazioni e tanta favolosa musica dal vivo, per ricostruire la vita di una misteriosa band, tra le leggende del Blues, il Voo-Doo di New Orleans e la veemenza del diabolico Rock’n’Roll.
La storia comincia nel 1954 nel Tennessee. Alcuni amici formano una band per tentare la via del successo. La sorte non li premia, ma loro ci riprovano il decennio successivo, poi negli anni ’70, ’80, ’90 e ci riprovano anche oggi. La nota bizzarra ed inquietante è che il passar degli anni pare non incida sui suoi membri e forse la spiegazione va ricercata nel Dr. Phenex (Lillo), un mefistofelico e un po’ sfigato figuro, che una notte offrì loro il successo in cambio dell’anima.
«Negli anni Cinquanta, con il Rock’n’roll si scatenò una prima rivoluzione dei costumi: sociali, politici ed ovviamente musicali – spiega serio Greg – e sebbene l’America sia geograficamente lontana, è assai vicina nella cultura che ci accompagna da decenni, volenti o nolenti, con letteratura, cinematografia, teatro e musica. Vorrei anche sottolineare l’importanza della matrice italica negli Stati Uniti. A ben guardare possiamo trovare molti cognomi italiani tra i musicisti, gli attori e gli scrittori d’oltreoceano. E tutti sono stati basilari nello sviluppo culturale americano».
Il pubblico in sala si scalda coi filmati che spiegano i tentativi del gruppo di emergere nel periodo razzista del maccartismo, tra lo swing di Bing Crosby e il primo rock di Elvis. Poi la platea viene trascinata dalle esibizioni musicali di Greg, Max accompagnati dagli ottimi Mario Caporilli (tromba), Alessandro Tomei (Sax e flauto), Stefano Rossi (Sax baritono) Attilio Di Giovanni (piano) Francesco Redig de Campos (contrabbasso) Alfredo Agli (batteria). E scrosciano incontenibili le risate quando da Max Paiella, ipnotizzato dal diabolico Lillo, a terra in preda a convulsioni, scaturisce la voce satanica di Tiziano Ferro, di Battiato e persino di Bombolo. Dissacrati pure i mitici Beatles e la musica inglese anni ’70, gli Hippies, le musiche psichedeliche. Chiamati a pagare il prezzo della loro eterna giovinezza, i nostri seguono le suadenti note di musiche sudamericane. Ma il mefisto li stoppa dicendo: «Salsa e merengue sono in Paradiso. Il rock, si sa, si suona all’inferno, per sempre. In fondo è la musica del diavolo!».