Al cinema Nuovo Sacher una giornata in ricordo del celebre regista
«L’amicizia somiglia all’amore. Mi manca tanto Giuppettone». Così con la voce rotta dall’emozione, Roberto Benigni saluta l’amico Giuseppe Bertolucci, l’altra sera, a Roma, dove Nanni Moretti ha voluto radunare nel suo cinema Sacher amici e colleghi, estimatori del regista scomparso lo scorso 16 giugno a Diso in Salento.
La sala è già gremita di volti noti mischiati a sconosciuti mentre sullo schermo scorrono le foto di famiglia e di lavoro. Il fratello Bernardo siede al lato della prima fila dove c’è la cognata Lucilla, l’attrice spagnola Marisa Paredes, Caterina d’Amico, Mimmo Rafele, Fabrizio Gifuni. A loro si uniscono Roberto Benigni e la moglie Nicoletta e, alla spicciolata, arrivano Laura Morante, Stefania Sandrelli, Marco Tullio Giordana, che sfiorano Bernardo con discreti, piccoli gesti di affetto.
Si spengono le luci, scorrono le immagini di un breve montaggio dei momenti salienti del privato e della carriera di Giuseppe. Immagini rubate agli album di famiglia, che lo ritraggono bambino col fratello maggiore, la mamma Ninetta, il papà poeta Attilio. Poi, già adulto, con barba, sguardo intenso, pensieroso, sui set con la Melato, la Sandrelli, con Pasolini e Benigni, di cui è stato il talent scout col film Berlinguer ti voglio bene. E Benigni dà la stura ai ricordi. «Visto quant’era bello? Non sfigurava nemmeno davanti al poster di James Dean! Racconto cose personali – dice -, perché Giuseppe non c’è più, perché era mio amico, il mio primo regista, umile e fiero, mi ha insegnato a muovermi nel mondo del cinema. Mi scelse, scriveva belle poesie, si è riso, pianto, ragionato del mondo insieme, cose che solo l’amicizia può dare». Il comico toscano è un fiume in piena, tenero e ironico come sempre quando ricorda gli strepitosi tortelli di zucca di “mamma” Ninetta. «Giuseppe amava la vita, la Juve, il bollito, John Ford, il burro fritto. Si svegliava alle cinque e quando era contento si batteva la mani sui fianchi. Io e Nicoletta lo chiamavamo Giuppettone, ci manca tanto». Queste ultime parole sono rotte dal pianto. E anche Bernardo Bertolucci non si vergogna a soffiarsi rumorosamente il naso per affogare nel fazzoletto le lacrime che copiose gli solcano il viso.
C’è chi dice di aver amato la sua discrezione, la sua profonda generosità, sottolineando lo sviluppo che ha saputo dare alla Cineteca di Bologna che ora, grazie a lui, conserva 37 mila film, l’archivio di Chaplin e Blasetti, ripetendo lo slogan che Giuseppe aveva fatto scrivere sulle tessere: «Il cinema è un piacere, un diritto, è per tutti. Il cinema è un grande amico».Moretti invita al microfono Marco Tullio Giordana, che però, sopraffatto dall’emozione, declina l’invito. Parla Mimmo Rafele, il decano dei migliori amici di Giuseppe, tutti “mangiatori” di film. «L’ultimo atto della sua vita – dice – è stato un film straordinario, senza un attimo di tristezza, con l’ironia di sempre. Lucilla ha fatto la grande regia della sua vita. È morto bene».
Emozionata, Stefania Sandrelli non legge, dice soltanto: «Sono felice di essere qui e questo mi basta, volevo esserci per ricordarlo, mi batte fortissimo il cuore. Ho fatto un solo film con lui, bellissimo, abbiamo riso tantissimo, era ironico e solenne. Mia figlia Amanda con lui ne ha fatti due, un po’ ci appartiene e noi siamo state un po’ sue». Commossa anche Sabina Guzzanti: «Mi ha scoperta a teatro e mi ha convinta che avevo talento – ricorda -. Io ero arrogantella, lui paziente. Insieme abbiamo girato il mio primo film Troppo sole che sono contenta sia stato ‘liberato’». «Adoravo la sua coerenza, la sua intelligenza» dice la Paredes nel suo stentato italiano.
«Un uomo-verità, autentico» lo definisce l’amico magistrato Luciano Violante. L’amico Fabrizio Gifuni legge una poesia di Caproni che dice: «Amici, è ora per me di tirar giù la valigia». L’emozione e l’amore che scorrono in sala sono quasi palpabili. Tocca a Bernardo, che ringrazia Nanni Moretti per aver ospitato questo ricordo del fratello «che mi ha fatto molto piangere» ammette senza vergogna «e che ha rappresentato Giuseppe quasi fisicamente». Torna indietro a quel 24 febbraio del ’47 quando, a sei anni, col padre si recò all’ospedale di Parma dove mamma Ninetta aveva dato alla luce il fratellino. «All’uscita papà saltava ripetendo: è nato Giuseppe, è nato Giuseppe, e io pure. Un passante severo ci apostrofò ‘non siamo mica al cinema’! Era nato Giuseppe».