Addobbi natalizi, classici hit di fine dicembre, ma…attenzione, quello che state per vedere non è il remake de La vita è meravigliosa, né l’ennesima trasposizione cinematografica di Canto di Natale di Charles Dickens, bensì Bad Santa, nuovo lungometraggio di Terry Zwigoff, regista, tra l’altro, del comic-movie Ghost World, ignobilmente rititolato dalle nostre parti come Babbo bastardo, il quale ci propone la versione decisamente anti-politically correct di una delle figure più amate dai bambini. Ultima interpretazione del compianto John Ritter (il film è in sua memoria), Bad Santa ci racconta la storia di Willie T. Stokes, furfante che ogni anno, sotto il travestimento da Babbo Natale, svuota la cassaforte dei grandi magazzini aiutato dal socio nano Marcus. Tutto fila liscio finché, a Phoenix, non entrano nella loro vita Bob Chipeska, direttore particolarmente irritante, il furbo detective Gin, Sue, una ragazza che ama coinvolgere nelle sue fantasie sessuali la figura di Babbo Natale e, soprattutto, Thurman Merman, emarginato ragazzino che vive con la convinzione che Willie sia il vero Santa Claus. Il nuovo lavoro di Zwigoff mette in scena per l’ennesima volta un personaggio cinico in fondo al quale, dopotutto, batte un cuore, infatti, fin dai primissimi minuti, ci viene mostrato il sempre ottimo Billy Bob Thornton nei panni dell’insolito Babbo Natale che beve come una spugna, fa del sesso una delle sue principali attività quotidiane e, in particolare, tratta male e prende a parolacce i piccoli clienti del centro commerciale in cui lavora.
Del suo personaggio, l’attore ha detto: «Willie è un perfetto esempio di canaglia, ma è anche qualcos’altro. All’inizio, si ha l’impressione che Willie sia odioso, ma in effetti lui non è altro che uno sbandato con un’infanzia orribile alle spalle. Il Natale rappresenta per lui solo un periodo di infelicità. È un perdente ma, col proseguire della storia, finisce col diventare un perdente davvero adorabile». Al termine del film però l’autore, troppo impegnato ad accontentare la South Park generation, finisce per fare l’imitazione di Kevin Smith, realizzando un prodotto altamente discontinuo che, pur trovando il tempo di lasciarci riflettere, con un sapore vagamente anti-capitalista, sul valore che divise e cariche conferiscono a chi le indossa (tira in ballo, oltre al truffaldino Santa Claus, Gin, astuto agente della sicurezza interpretato dal comico di colore Bernie Mac), appare diviso tra una prima parte esageratamente volgare, che stenta anche a divertire, ed un buon secondo tempo, efficacemente costruito sul continuo contrasto tra il ghigno di Willie e l’espressione innocente del piccolo e paffutello Thurman, splendidamente incarnato dal giovanissimo Brett Kelly. A tal proposito, una delle migliori e più significative sequenze del lungometraggio è quella in cui il ragazzino interrompe Willie mentre sta avendo un intenso rapporto sessuale con Sue (Lauren Graham), ma il risultato finale non raggiunge comunque la sufficienza, ed è un vero dispiacere vedere coinvolti in un pasticcio del genere quei geniacci dei fratelli Coen che, oltre a figurare come produttori esecutivi, sembra che siano i responsabili dell’idea di partenza.
di Francesco Lomuscio