Quattrodici anni dopo, la scrittrice di best-seller Catherine Tramell (Sharon Stone) torna a colpire usando il suo corpo, ancora una volta, come un’arma contundente da far assaporare (meglio se solo per una volta) a uomini assetati quanto lei di potere e di emozioni estreme. Nella sequenza iniziale, abbandonata San Francisco per rifarsi una vita a Londra, Catherine, al volante di una Spyker C8 Laviolette, percorre le rive del Tamigi a cento all’ora. Accanto, il suo partner maschile è impegnato a farla godere. E ci riesce talmente bene da far schiantare l’auto nel fiume. Dalle cui acque, forse perché non adeguatamente soccorso, l’uomo non farà più ritorno. Mentre lei riemergerà più sicura e determinata che mai. Per presentarsi subito dopo, asciutta e perfettamente controllata, davanti all’ispettore capo della polizia Roy Washburn (David Thewlis). Un detective dai modi spicci che, pur di incastrarla, è disposto a ricorrere a qualsiasi espediente. Tra cui la richiesta, rivolta all’autorevole psichiatra criminologo Michael Glass (David Morrissey), di sottoporre la presunta assassina a una perizia. Con lo scopo nemmeno malcelato di sbatterla dentro e gettare la chiave.
Ovviamente il piano fallirà e l’algido salotto dello psichiatra, all’interno della svettante torre Gherkin, diverrà per Catherine – stesa sul divano con i tacchi a spillo, l’aria annoiata e l’eterna sigaretta tra le labbra, nonostante (o proprio a causa) il divieto di fumo – una casella fondamentale del suo gioco dell’oca intessuto di corpi da usare per provocare e ricevere piacere. Corpi, di uomo o di donna poco importa, di cui disfarsi subito dopo, come nel caso di un giornalista ficcanaso e di un’ex moglie divenuta troppo ingombrante. A salvarsi è solo chi, come la psichiatra Milena Gardosh (Charlotte Rampling), può ancora tornare utile alla realizzazione della contorta trama romanzesca che, attimo dopo attimo, prende vita nella mente della scrittrice americana. Perché una buona trama si nutre di sangue, sesso, menzogne, colpi di scena e depistaggi. Oltre che, come lei stessa ammetterà nel finale, di una continua e spietata “vampirizzazione” della vita quotidiana. Una vita dove Catherine, nonostante abbia imparato a usare il rompighiaccio con più parsimonia, si trascina stancamente e senza nemmeno più concedere quel brivido – lasciato assaporare a Michael Douglas 14 anni fa – di due gambe perfette che, senza niente sotto, si accavallano schiudendogli un mondo…
di Beatrice Nencha