Lottare per capire chi veramente siamo e riuscire a essere se stessi. È il messaggio che il regista ungherese Istvàn Szabò lancia nel film La Diva Julia (Being Julia), ispirato all’omonimo romanzo di William Somerset Maugham, sceneggiato dal premio Oscar Ronald Hardwood e interpretato da una strepitosa Annette Bening, da Jeremy Irons, Michael Gambon, Juliet Stevenson, Lucy Punch, Miriam Margolyes, Bruce Greenwood, Maury Chaykin, Shaun Evans. Szabò torna a parlare di teatro dopo Mephisto, che gli valse l’Oscar, ambientando stavolta la storia nella Londra anni Trenta, dove la seducente Julia Lambert è un’attrice famosissima, al culmine della carriera ma in piena crisi d’identità. Si accorge che malgrado il successo il tempo sta passando anche per lei, che sta invecchiando e, ormai quarantenne, deve continuare a recitare anche fuori dal palcoscenico, imbrigliata in un rapporto matrimoniale ormai logoro, stanco. Divisa fra il marito-manager (Jeremy Irons), il figlio adolescente, la solida carriera, cerca nuove emozioni e una sferzata di vitalità nel giovane Tom Fennel (Shaun Evans), un ragazzo americano suo acceso fan, praticamente coetaneo di suo figlio, col quale intreccia un’appassionata relazione, valido antidoto alla sua crisi di mezza età.
Ma quando scopre che lui la sta usando per aiutare a far carriera la rampante attricetta Avice Crichton sua amante (alle cui grazie non è rimasto immune neppure il marito di Julia) che sta facendo di tutto per scalzarla dalla scena, la disillusa star sfodera le unghie e tutto il suo talento per architettare un diabolico piano-vendetta e riappropriarsi del “suo” pubblico, del “suo” palcoscenico, pronta a godersi e a festeggiare la sua ultima conquista: la maturità. Szabò ci regala un’arguta, gustosa e raffinata commedia che mescola momenti di farsa, le fastose atmosfere dei film in costume e una serie di riflessioni sulla vita, sull’arte, usando il mondo del teatro come metafora dei ruoli che tutti siamo costretti a interpretare nella vita. Si parte coi toni del dramma sofisticato dagli sviluppi e dall’esito apparentemente scontati che pian piano, in un clima di crescente ma pacata suspence, conduce piacevolmente lo spettatore verso l’imprevedibile colpo di scena finale. Unica nota un po’ stonata il doppiaggio affidato a Mariangela Melato, supercollaudata attrice dalle indiscusse doti recitative che però, in questo caso, calcando troppo sul teatrale, rende un po’ ingessato il modo di esprimersi della protagonista. Un’ intelligente, ironica, umanissima Annette Bening che con questo ruolo si è aggiudicata un meritatissimo Golden Globe e un’altrettanto meritata nomination, ma purtroppo non una vittoria, all’Oscar.
di Betty Giuliani