La macchina da presa è sempre puntata su di lui, pronta a cogliere e descrivere ogni emozione di Pietro, a narrarci la storia dal suo punto di vista, rispettando il suo pudore di fronte al dolore e il tentativo di tenerlo a bada. Così Antonello Grimaldi ha diretto Nanni Moretti nel film Caos Calmo (dall’8 febbraio al cinema) raccontando attimo per attimo la lunga attesa del protagonista incapace di elaborare un lutto, con il suo mondo che gira intorno a lui. Il film prodotto da Fandango, costato circa 5 milioni e mezzo di euro e girato a Roma in nove settimane di fronte a un convento ucraino all’Aventino, è ispirato all’omonimo romanzo di Sandro Veronesi di cui mantiene lo spirito spostando però l’azione dall’interno di un’auto alla panchina di un giardinetto su cui si affaccia una scuola elementare. E’ lì che Pietro, manager di successo, scosso dall’improvvisa morte della moglie, passa le sue giornate dopo aver accompagnato la figlia di dieci anni a lezione (Blu Yoshimi) e aspettando paziente di riportarsela a casa, spiando le sue emozioni anche durante la ricreazione, sperando di proteggerla dal dolore. Ma è lui che in realtà vive dentro una sorta di caos calmo che lo protegge da un dolore che lo spaventa e che tenta di reprimere, incapace di trovare dentro di sé gli strumenti per liberarlo, farci i conti e venirne fuori. In questa sua roccaforte man mano gli fanno visita parenti e colleghi: il fratello (Alessandro Gassman), mito della moda giovane all’apparenza superficiale ma che dimostrerà sentimenti assai profondi; la cognata nevrotica e logorroica (Valeria Golino); i colleghi frustrati dalla fusione aziendale (Silvio Orlando) e i boss che segano i vecchi capi e vorrebbero lui al vertice (Hippolyte Girardot e Denis Podalidès); la sconosciuta che ha salvato in mare (Isabella Ferrari) che sarà l’artefice del suo ritorno alla vita vera, anche sessuale.
Un cast eccezionale, con un altrettanto eccezionale Morettiche riesce a infondere estrema umanità e naturalezza al personaggio, introducendo con leggerezza e ironia lo spettatore in questo suo viaggio stravagante e silenziosamente doloroso. Si fa capire, compatire, amare in ogni suo gesto di uomo spaesato dal grave lutto, improvvisamente solo con una figlia piccola da accudire, sorvegliare, proteggere da un trauma la cui portata, forse proprio grazie all’ apparente distacco paterno e alla sua costante vicinanza, non la sconvolgerà fino in fondo. E in un’epoca di arrivisti a ogni costo, non si può non apprezzare la sua scelta di relegare su quella panchina anche la fulgida carriera. Nei suoi ultimi film comunque ricorre il lutto: “Ne La Stanza del figlio c’è un nucleo familiare che si frantuma dopo la morte del ragazzo – spiega Moretti -, qui invece nasce un rapporto nuovo tra padre e figlia”. Come si è calato nel personaggio? “Non c’è nulla di programmato -dice-, leggendo il romanzo ho subito pensato a me come protagonista, un uomo che cerca di dare un ordine per prima cosa esteriore alla propria vita e poi un ordine d’importanza alle cose”. La tanto chiacchierata scena d’amore (a nostro avviso per nulla erotica) tra lui e la Ferrari rappresenta il ritorno alla vita di Pietro dopo l’elaborazione del lutto: “Abbiamo scelto di farla arrivare all’improvviso perché lui si ritrova improvvisamente guarito – racconta Grimaldi -, doveva essere una scena di sesso liberatoria e violenta, non d’amore, che invece è un sentimento che va costruito”. Isabella Ferrari per entrare nel personaggio ha letto le poesie di Umberto Saba e non ama si banalizzino quelle immagini hard: “Sono madre di tre figli ma non me ne vergogno – dice sicura -, l’ ho affrontate con animo Zen, non c’è volgarità, siamo stati veri”. E Nanni ribatte: “Mi sembra una scena molto riuscita!”.
di Betty Giuliani