Dal 14 febbraio nei cinema
Passione e speranza sono le parole chiave del film Viva la libertà di Roberto Andò, una commedia brillante, intelligente, divertente, con tanti richiami alla politica italiana di oggi, tratta dal romanzo dello stesso regista Il trono vuoto, nelle sale dal 14 febbraio in cento copie, distribuito da 01. Eccezionale il cast, con Toni Servillo in uno straordinario doppio ruolo (di leader di partito e del suo gemello filosofo un po’ svitato), un ‘azzimato’ Valerio Mastrandrea, perfetto nel ruolo del compunto portaborse, e tre belle e brave attrici come Valeria Bruni Tedeschi (l’ex fidanzata del leader), Michela Cescon (la moglie), Anna Bonaiuto (il suo braccio destro).
«La vergogna ti paralizzerà, te ne devi andare. L’opposizione è morta e la colpa è tua», gridano al politico i contestatori. Queste frasi danno la stura al film che vede il capo del maggior partito di opposizione, alla vigilia del convegno della sinistra europea, dileguarsi in silenzio e rifugiandosi all’estero da una vecchia amica (Bruni Tedeschi). Il suo fedele e ligio factotum Andrea Bottini (Mastrandrea) cerca disperatamente di rintracciarlo. Nessuno sa dove sia, neppure la moglie (Cescon) che dice rassegnata: Un uomo politico non ha amici». Bottini, disperato per le conseguenze politiche dell’incomprensibile gesto del suo capo, che affosserà definitivamente il partito, chiede di sostituirlo al gemello dell’onorevole, un filosofo geniale, affetto da turbe psichiche, appena uscito da una clinica psichiatrica.
«Stai mettendo il partito nelle mani di un pazzo» si preoccupa la moglie del leader, che però accetta di ospitare il cognato in casa per rendere ancor più credibile la sostituzione. «Sì, ma ha metodo, è simpatico» si schermisce Bottini, che già ne subisce il carisma. A un avversario politico che sostiene «Questo è un paese marcio, che fa paura» il sosia del leader replica di voler «liberare la gente dalla paura». E avrà presto ragione. Il gradimento del partito risalirà vertiginosamente, persino il presidente della Repubblica cadrà nell’inganno, restando affascinato dal “nuovo corso” imboccato dal suo vecchio amico, che lo coinvolgerà in un improbabile e chiassoso nascondino nelle austere sale del Quirinale. E ‘ammorbidirà’ pure la cancelliera tedesca trascinandola in un voluttuoso, esilarante tango. Tutti si convincono che la musica stia cambiando: «Sta succedendo qualcosa di grande – dicono i suoi -. Stavolta vinciamo».
Il film, come il romanzo, spiega l’autore, nasce dal desiderio di immaginare qualcosa che sulla scena politica non c’è. «L’elettorato ha nelle mani la propria coscienza – dice convinto Andò -. Non sono pessimista, il paese non è rassegnato, sta cercando una strada, una identità che corrisponde al gemello del film, un’idea che mi piace tanto. Quando la speranza non c’è, bisogna inventarla». Il sosia filosofo un po’ squilibrato, assicura il regista «È un intellettuale eccentrico che non ha riferimenti con la realtà. Ogni politico porta dentro una piccola storia romanzesca, come spesso è la politica».
«Per un attore che fa teatro – spiega Servillo – l’occasione di interpretare due gemelli è ghiotta, applicata alla politica moltiplica le sorprese. Il fascino della sceneggiatura era raccontare una politica d’azione legata alla cultura, intesa anche come slancio morale, legata concretamente alla vita, agli inciampi dell’esistenza». Del gemello sosia che interpreta con tono di ironica allegria dice: «Non è un pazzo, è un lucido, eccentrico intellettuale. Non ho pensato a nessuno dei politici attuali, i riferimenti li ho presi nell’immaginazione, pensando a certi scrittori e docenti universitari. Nel film circola aria allegra, pur nel rispetto dell’argomento – aggiunge -, si voleva buttare un sasso per muovere le acque, sarebbe stato inutile mettere in moto energie vitali per rimboccarsi la lapide».
Si augura che Viva la libertà «Possa servire a suggerire di mettere l’emozione al servizio del pensiero, a far pensare emozionando. Se ti senti superiore – sostiene Servillo -, devi dimostrarlo!». Per l’attore campano è il terzo ruolo di politico (dopo Andreotti nel Divo di Sorrentino e un senatore del Pdl nel film di Bellocchio Bella addormentata), e spera sia l’ultimo. «Ho rappresentato tutti gli schieramenti , ora spero mi offrano un bel marchese del ‘700 innamorato».
In scena campeggia un poster con un bel primo piano di Berlinguer. Andò lo considera una sorta di amuleto. «Come Moro ha vissuto momenti difficili alla fine, isolato nel suo partito. Io scommetto sul futuro, stiamo scavalcando un momento difficile, insidioso, lui è una sorta di talismano». Nel film appare anche un Fellini inferocito che si scaglia contro le interruzioni pubblicitarie nei film in tv. «Aveva capito che facevano franare qualcosa di prezioso – spiega Andò -. Le sue parole raccordano la cultura e la politica, che deve ripartire proprio dalla cultura per ritrovare i propri dei».
Il film esce alla vigilia delle elezioni. Potrebbe dare una mano alla sinistra? «Il comizio finale del candidato – chiarisce il regista – è ispirato alla poesia di Brecht A chi esita. Mette la politica nelle mani dei cittadini dicendo: ‘non aspettarti nessuna risposta oltre la tua’, la restituisce alla loro anima, senza essere delegata a una figura carismatica. Per questo non si può strumentalizzare, è evidente dove il film si colloca politicamente, ma se ne appropri chi se ne vuole appropriare».