Dopo alcuni anni di assenza il cinico e disincantato Alex de la Iglesia è tornato dietro la macchina da presa con un film che può essere considerato la quintessenza del suo cinema. Il regista spagnolo riconferma la formula del giallo che sembra ormai prediligere, (ricordiamo La Comunidad – Intrigo all’ultimo piano del 2000), unita con maestria ad uno humor nero irresistibile. Il risultato è una commedia decisamente grottesca in cui ironia e tragedia, sangue ed eros vanno stranamente a braccetto in un ritmo vorticoso e accelerato. La storia ripropone un tipico triangolo immancabile in commedie del genere: il protagonista deve vedersela, suo malgrado, con un cadavere e un testimone scomodo. A complicare la situazione, già di per sé problematica, è il fatto che il testimone in questione sia una collega di lavoro per niente attraente e disposta a tutto pur di sposarsi. Ogni personaggio, (sia esso la vittima o il carnefice), è spinto da egoismo, invidia e volontà di prevaricazione senza limiti, così come obbliga il contesto in cui ognuno agisce. Il luogo di lavoro, infatti, diventa una brillante metafora delle società di oggi e non è un caso che il film sia stato girato nel microcosmo di un centro commerciale, il tempio moderno dell’apparenza e del consumismo, in cui l’unico imperativo vigente è quello di vendere per guadagnare. In Crimen perfecto de la Iglesia è anche tornato a inserire alcuni temi a lui cari, come la parodia della televisione, con i suoi programmi demenziali e la pubblicità martellante, e a giocare con quelle che lui stesso definisce vere ossessioni personali: il caos, la pazzia latente che affiora nelle situazioni estreme, (con richiami evidenti al cinema di Buñuel ), e la figura-simbolo del clown. È a proposito di quest’ultima, la più enigmatica e affascinante, che il regista ha dichiarato in un’intervista: «per vincere nella vita bisogna trasformarsi, in un certo senso, in un buffone». Un’affermazione, questa, che suona inquietante e terribilmente attuale.
di Valentina Domenici