Sei personaggi in cerca d’amore e calore immersi in una Parigi raffreddata da una neve costante, che attutisce sentimenti e dolori senza cancellare le tracce di un’ evidente ed inevitabile solitudine. Tratto da un testo teatrale di Alan Ayckbourn, presentato inizialmente con il titolo internazionale Private Fears in Public Placee poi trasformato dopo vari tentativi nel più essenziale Coeurs, il film di Resnais ( Leone d’Oro nel 1961 con L’anno scorso a Marienbad) si concentra sulla costante determinazione espressa dagli uomini nel liberarsi di un senso di solitudine irreversibile, senza alcuna speranza di cure. Ambientato nel quartiere di Bercy tra la Senna e l’Avenue de France, il film è girato e circoscritto interamente all’interno d’appartamenti, spesso ripresi dall’alto come se fosse un palcoscenico a cielo aperto, ma comunque volti a rappresentare ambienti claustrofobici all’interno dei quali nascondersi e dai quali fuggire allo stesso tempo. Tra la sua usuale famiglia cinematografica composta da Lambert Wilson, Pierre Arditi, Andrè Dussollier e Sabine Azéma, Alain Resnaisintroduce il nuovo elemento Laura Morante. L’alchimia funziona perfettamente senza perdere l’armonia dell’insieme, fondamentale per un film che basa fondamenta e forza emotiva proprio su di un sentimento espresso coralmente.
Pesci in un acquari o piccoli esseri sottoposti ad un esperimento sociologico, i personaggi di Resnaisvivono all’interno di una teca di cristallo sotto un’ attenta osservazione come per scoprire il germe stesso della solitudine. I loro movimenti sono misurati ma non fissi. Evidente la derivazione teatrale da cui Resnais non tenta minimamente di sfuggire ma che, se possibile, esalta ed asseconda dolcemente come la più naturale delle scelte. Nell’opera originale di Ayckbourn c’è un aspetto fosco a cui il regista francese non intende rinunciare, ma tenta di riprodurre a tutti i costi sullo schermo attraverso la costruzione di un tessuto di contraddizioni e pulsioni fluttuanti che si agitano nell’animo umano. Attraverso la valorizzazione delle immagini e della recitazione dei personaggi che potenzialmente potrebbero esprimere qualche cosa di meglio, ma non vogliono o non possono farlo, si cerca di catturare proprio l’idea di una nostalgia del fare meglio che li conduce all’immobilità o al tentare guarigioni insperate. Il loro destino, le loro vite sono sempre guidate, fino anche a dipendere da persone che non hanno mai incontrato. Attraverso dei dialoghi perfettamente inseriti nella sottile malinconia che determina il tono di questa tragi-commedia , Alain Resnais, come un antico e capace artigiano, continua a cesellare, rifinire e raffinare alla ricerca di una perfezione narrativa coniugata ad una profondità dei sentimenti, quasi senza rendersi conto di aver raggiunto il suo scopo attraverso la pulita e minimalista forma delle immagini.
di Tiziana Morganti