Da non confondere con l’intenso film vincitore del Leone d’Oro al recente Festival di Venezia, questa seconda pellicola di Claudio Bondì (L’educazione di Giulio, 2001) è allo stesso tempo una piacevole scoperta e una delusione. Una scoperta perché pone anche l’Italia, nel suo piccolo, tra i paesi che – da qui ai prossimi mesi – riscopriranno il peplum, il film storico in costume; piacevole (e insolita) perché Bondì, come in un anti-Gladiatore, lavora per sottrazione: dipinge una Roma antica sull’orlo della dissoluzione con tratti intimisti, senza sfarzo (tutte le location sono scenari naturali tra il Lazio e la Calabria), con molte idee, pochi soldi e molti dialoghi; affida il film a volti che paiono venire dritti dritti da quell’epoca (perfetti Elia Schilton nella parte del protagonista Rutilio Namaziano e Rodoflo Corsato in quella di Minervio), e disegna un severo viaggio “di redenzione dal dubbio” che sembra un dipinto mistico perso tra mare e terra, al confine tra memoria storica e documentario televisivo rosselliniano (di cui Bondì è stato non a caso per anni aiuto-regista).
Una delusione, dicevamo: già, perché lavorando per sottrazione la sceneggiatura (anche di Alessandro Ricci) ne risente, non arrivando a spiegare fino in fondo il cambiamento che la Roma del V secolo dopo Cristo stava attraversando, con il Cristianesimo che cercava di nascondere le sue colpe esaltando le scorribande dei Goti di Alarico, mancando dell’accenno all’apertura di un periodo buio come l’imminente Medio Evo, chiudendosi, come lo stoico protagonista, in una criptica ellissi di frasi, gesti e sguardi che prima di concedersi alla pietà e alla comprensione lasciano spazio all’abitudine, e di quando in quando alla noia. Bondì ha cuore e cervello per un’operazione ambiziosamente filologica di questo tipo, dice di portarsi appresso il film da quarant’anni, da quando all’Università rimase affascinato da un poemetto incompiuto (“de Reditu”, appunto) in cui si narrava del viaggio verso casa su una piccola imbarcazione di un uomo che stava conoscendo, suo malgrado, la fine di un’era senza capirlo. Encomiabile sforzo d’autore: ma anche il pubblico potrebbe non capirlo. L’apparizione di Roberto Herlitzka (l’Aldo Moro di Buongiorno, notte) per una manciata di minuti nella parte del filosofo Protadio che, deluso dal crollo di un mondo e dei suoi ideali, decide di togliersi la vita è un illuminante squarcio di maestria in un film che, seppur coraggioso per tema e distribuzione in un paese ostile e ostico alla nicchia, sarebbe perfetto come saggio illustrato di una lezione di letteratura latina. Adatto quindi alle scuole, o ad un pubblico da “Fuori Orario” dal palato molto, troppo fine.