Scorrendo i nomi del cast tecnico-artistico del film di Chen Kuo-Fu, uno dei più importanti registi taiwanesi, troviamo personalità di assoluto rilievo del cinema orientale e non: tra gli attori spiccano i nomi di Tony Leung Ka-Fai e David Morse, rispettivamente la stella del cinema hongkonghese, celebre protagonista del film L’amante(1992) di Jean-Jacques Annaud, e l’ottimo caratterista americano presente in numerosi film, tra cui Il miglio verde (1999), Dancer in the Dark (2000) e Rapimento e riscatto (2000); scenografie e costumi sono, invece, del maestro Tim Yip, premio Oscar per il film La tigre e il dragone (2001) di Ang Lee. Anche se non si dovrebbe valutare la qualità di un film in base alle maestranze in esso coinvolte, ciò testimonia l’importanza di Double Vision come prodotto emblematico di un cinema, quello taiwanese, purtroppo poco conosciuto in Italia, a causa di una distribuzione scellerata; grande merito dunque alla Columbia che ha deciso di distribuire la pellicola, associandola ad altri due titoli interessanti, The Missing Gun e So Close. Dei tre film, Double Vision è sicuramente il più insolito e affascinante, poiché unisce una storia di serial killer a situazioni fantastiche e surreali, tra diagrammi taoisti e rituali per l’immortalità, il tutto condito dalle caratteristiche atmosfere umide e roventi della Hong Kong di inizio millennio. Il regista calibra con astuzia e ingegno le componenti fantasiose del racconto con i dettagli più crudi e violenti: non lesina infatti in ammazzamenti, decapitazioni, sangue e smembramenti nella tipica tradizione del cinema orientale, peraltro ripresa da Tarantino nel suo Kill Bill (si veda la scena del massacro al tempio, essa assomiglia in modo incredibile a quella in cui Uma Thurman se la vede con centinaia di cinesi infuriati). Coinvolgente e visivamente seducente, grazie all’ottima fotografia di Arthur Wong Ngok Tai, il film si candida ad essere tra i prodotti più originali e riusciti del cinema asiatico di quest’anno, risultando una piacevole sorpresa anche per chi poco frequenta questo genere di storie.
di Simone Carletti