Un nocivo e volatile malessere esistenziale che contagia senza vie di fuga è quello messo in luce nella prepotente opera di Luciano Melchionna, regista in larga parte teatrale che ha già lavorato con molti attori del cast di Gas, tra cui Francesco Venditti il quale si è battuto perché questo film si facesse. È la storia di un gruppo di ragazzi tra i venti e i trent’anni, sprovvisti di sogni e valori, ma uniti dalla rabbia, dalla violenza, dalla droga come unica via di fuga. La storia di Luca (Lorenzo Balducci), si intreccia con quella di un gruppo di scatenati coetanei che decidono di rapire e torturare per una sera intera un adescatore di prostitute. Tra loro c’è Francesco (Francesco Venditti), giovane padre separato dalla moglie, Emiliano (Massimiliano Caprara) inserviente all’obitorio, Sandro (Sandro Giordano) figlio di un personaggio televisivo tanto famoso quanto assente, Monica (Moran Atias) mantenuta da un amico del padre in un appartamento ricco e vuoto e Laura (Paola Ranzoni) alle prese con una sorellina piccola e una madre insoddisfatta ed egoista.L’Arancia meccanica di Melchionna scopre da subito le sue carte con lunghi fermi immagine su una bara che si ripetono cadenzati lungo tutto il film, e durante il quale non resta che da chiedersi sin dove si spingerà la violenza, la follia, l’imbarazzo dello spettatore. Balzi in avanti e indietro nella storia confondono le idee ma non lasciano dubbi sulla chiara definizione di un luogo ideologico dove i protagonisti sono destinati a perdersi, a soccombere. Nessuno uscirà fuori indenne da quella sera. Ne siamo coscienti da subito.
Il volto della rabbia, della violenza, della vendetta, è quello di Lorenzo Balducci, giovane figlio di Verdone in Ma che colpa abbiamo noi. Lo si ama quando sa lasciare un gesto di speranza ad una sola ed anziana signora, lo si odia profondamente quando è capace di alzare le mani sul padre. Gas nasce dall’idea del suo creatore di raccontare una certa gioventù, quella che commette atti di vandalismo, che si tira le bottiglie fuori dai pub, che fa a botte con la polizia la domenica allo stadio. «Se loro non hanno ideali, io ce l’ho e devono lasciarmi in pace» sono le inequivocabili richieste di Luciano, riassunte in un film che diventa, come lui stesso lo definisce, un grido nella notte, una necessità impellente. Ma “quella” gioventù, sotto accusa nel film, è anche in qualche modo scagionata dai ritratti familiari dei singoli elementi, da padri assenti o madri troppo impegnate per vedere che cosa sta accadendo al proprio figlio/a. La simpatia che queste situazioni rischiano di inserire nel contesto sono un vero e proprio rischio sociale: la violenza non ha mai giustificazioni , né le può avere. Il fatto di non trovare un futuro bello e pronto grazie ai propri genitori non può e non deve essere una giustificazione alla degenerazione perché nel confronto con altre culture ben più povere della nostra questa pretesa non potrebbe che suscitare ilarità. E in quanto alla violenza giovanile, quella c’è sempre stata: ricordiamo a Melchionna che l’ha citato, che Arancia Meccanica è del ’71. Cosa cambia? Il fatto che allora ci si uccideva per una falce e un martello? Non cambia assolutamente nulla. L’impeto giovanile è come un gas, appunto, che se non trova valvole di sfogo, esplode, in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo e con o senza ideali.
di Alessio Sperati