Roma sbruffona, indolente e trasteverina che si scontra e si fonde con quella bella, informe e feroce per dar vita ad una realtà topografica e sociale che abbandona la staticità della città eterna per perdersi nell’inarrestabile sopraggiungere dei cambiamenti. Scenografica nella luminosità di una mattina limpida affacciata sulla grandiosità dei Fori Imperiali. Cruda ed esasperante nella fredda solitudine di una periferia che vede un uomo vergognarsi della sua miseria. Tra luci ed ombre, tra il bianco e nero dei volti che si alternano lungo le sue strade, si affaccia maliziosa e seduttiva pronta per essere amata per quella sua mistificante apertura, che altro non è che semplice indifferenza. Scola prova a rappresentare non tanto l’anima universale di una città e di coloro che la abitano, quanto l’ immagine, la sensazione personale che, se si avvicina alla realtà effettiva ed oggettiva è solo per una pura casualità. Una dichiarazione d’amore. Sincera e partecipe ma che alterna momenti di instabilità ed incomprensione narrativa e stilistica. Non un documentario, ne un film ad episodi. Lontano dalla “Roma” che Fellini immaginò per se nel 1972, il tentativo di Ettore Scola di produrre un documento che fosse non solo realtà ma anche arte, rischia di cadere all’interno d’ incongruenze, esasperazioni e scelte che mostrano solo una volontaria non identificazione con alcun genere. Sfida che, se può stimolare la creatività di un regista, getta lo spettatore nella confusa, rassegnata accettazione di fronte ad immagini e momenti emozionali che non sempre mostrano un preciso e chiaro legame emotivo.
Nella continua contrapposizione tra gli opposti e gli estremi, si scorgono rughe e pieghe inedite che il tempo ha segnato su di un volto ben noto. Nella distanza che esiste tra lo straniero ed il romano, tra il giovane ed il vecchio, tra la vita e la morte, Scola ci offre la possibilità di godere di momenti di intensa partecipazione e conoscenza. Sfrutta Mastrandrea collocandolo all’interno della sua indifferente assuefazione al diverso e concede a Foa la drammatica, dignitosa reazione di un uomo vinto dal tempo, che vale l’intero film. Ed ancora immagini e volti che potrebbero regalare spunti di osservazione inediti. Che inducono alla convivenza culturale con lo starniero per concederci la prospettivà di un futuro, ma che non evitano di mostrare il vuoto e la perdizione all’interno della totale assenza di ciò che si è stati. Un flusso emotivo che raggiunge il piacere culturale di ascoltare da vivi il discorrere dei morti ma che viene improvvisamente abbandonato, interrotto dall’introduzione di personaggi, situazioni che rimangono scorporati, fluttuanti all’interno di un nulla narrativo, senza mai trovare una collocazione plausibile. Per terminare con la piazza che tutto accoglie, nasconde e “confonde” all’interno della sua eccessiva,variegata confusione di manifestazioni politiche e balli di gruppo. Elementi disordinati, scomposti dunque. Affiancati senza un ordine apparente. Senza che un’evidente volontà razionale intervenga a gestire e rendere appetibile gli spunti “teatrali” messi a disposizione da un attrice involontaria come Roma. Un talento naturale che Scola corteggia ammirato e spietato allo stesso tempo, ma che raramente esalta attraverso un’ amorevole, attenta conduzione.
di Tiziana Morganti