Tratto dall’omonimo romanzo di Marco Nozza, Hotel Meinaconsegna alle cronache attuali il primo eccidio di ebrei italiani avvenuto a pochi giorni dall’armistizio del 1943. Il destino violento delle vittime coinvolte è stato per molto tempo dimenticato, ma oggi, grazie anche alle immagini di Carlo Lizzani, torna prepotentemente alla ribalta a pochi giorni dalla Giornata della Memoria. Prodotto dalla Titania di Ida Di Benedetto, questo film si colloca accanto ad altre opere simili per continuare a rinvigorire la forza del ricordo, che ha il dovere di dare voce a chi da tempo non l’ha più. Per non dimenticare la tragedia più grande che ha investito il ‘900, per mettere a tacere nuove ondate di antisemitismo, Lizzani, grazie all’amore per la materia storica che da sempre caratterizza il suo lavoro, realizza un opera drammatica dalle forme insolite. Rinunciando al sicuro impatto emotivo suscitato dalla visione di campi di concentramento e camere a gas, si dedica ad una vicenda a prima vista marginale collocata in un ambiente di irreale tranquillità. Ma dietro alla forma si nasconde una sostanza di terrore, che trova espressione nella claustrofobica reclusione dell’hotel e nell’ansia dell’incertezza. Il dramma non si rivela mai attraverso delle chiare esplosioni di violenza, ma cresce fino all’epilogo finale grazie ad un sottile e perverso gioco emotivo tra vittime e carnefici. La scelta di un cast di professionisti non ancora assurti alla condizione di star permette di creare un’ intensa empatia. La dove manca l’identificazione dell’attore subentra il personaggio che, diventato veicolo e strumento di risonanza, lascia scorrere le emozioni liberamente. Così quell’umanità rimasta per molto tempo senza nome e senza memoria, prende forma e spessore.
Rispetto all’opera letteraria di Nozzadalla capacità descrittiva più ampia, il film di Lizzani si concentra sicuramente su una realtà delimitata e cadenzata da un ritmo ben definito. Dal delicato accenno alla storia d’amore, alla lenta eliminazione degli ebrei, ogni elemento narrativo ha il compito di battere il tempo di una andatura giusta, capace di indugiare con un passo più lento e volutamente di attesa verso il finale. Ma la vera innovazione introdotta da Lizzani che ha suscitato non poche polemiche, è l’attenzione rivolta al personaggio di Erika, tedesca antinazista collegata ad una rete che opera tra Svizzera e Italia per permettere a molte famiglie di lasciare il paese. Lo sguardo benevolo e sinceramente affezionato che il regista le rivolge non rappresenta certo un’assenza di giudizio nei confronti di coloro che hanno portato a termine lo sterminio degli ebrei. Piuttosto ci troviamo di fronte ad un rifiuto della generalizzazione storica. Proprio attraverso l’umanità di Erika, Lizzani rivolge il più sprezzante giudizio nei confronti di quella parte di Germania ignorante, cieca e violenta, ma allo stesso tempo non dimentica la parte illuminista del paese. La terra di Kant, Goethe, Schiller e Mann. Di Bonhofer, della Rosa Bianca e degli ufficiali impiccati dopo la congiura del’44.
di Tiziana Morganti