Ha girato Traffic con una macchina a spalla e la tecnica “corri e spara”. In Oceans’ Eleven ha coniugato il glamour delle atmosfere con la grossa produzione hollywoodiana. Poco meno di due anni fa con Bubble ha sperimentato una sorta di new neorealismo digitale. Soderbergh ci ha abituato da sempre ad un cinematografia a cavallo tra l’autorialità ed il blockbuster, la tradizione e la sperimentazione tecnica. Mai uguale a se stesso, con un gusto particolare per i limiti e le difficoltà che non aggira ma porta fino al punto massimo, il regista di Sesso, bugie e videotape ( 1989) torna al bianco e nero dopo l’esperienza del thriller Kafka ( 1991) per dar vita ad un mystery anni ’40 fin troppo sofisticato e retrò per richiamare consensi corali. Dopo le anteprime di New York, Los Angeles e la presentazione al Festival di Berlino, Intrigo a Berlinonon sembra aver riscosso particolari successi. Dalla sua Soderbergh guarda e passa aspettando il prossimo incasso stratosferico di Oceans’ Thirteen. Eppure questa sua Germania anno 0 fatta di donne perdute e sbandate, di uomini privi di scrupoli, divisa in zone di controllo inglesi, russe ed americane potrebbe essere una vera ghiottoneria per tutti coloro che hanno subito il fascino del cinema americano old style. Si parte da Notorius, Casablanca (evidente per il riferimento finale), Il terzo uomo per arrivare ad una storia tratta dal romanzo The Good German di Joseph Kanon e girata nella tradizione del noir. L’utilizzo del bianco e nero ( è stata usata una pellicola normale da cui è stato tolto il colore), gli obiettivi vintage ( 50mm, 40mm, 32mm, 28mm, 24mm), una colonna sonora vecchio stile e la simulazione di retroproiezioni per le riprese dei fondi hanno integrato e rafforzato la scelta di una direzione degli attori indubbiamente teatrale.
Tra luci ed ombre di una città distrutta, dietro il lento e misterioso risalire del fumo di una sigaretta perennemente accesa l’amico ed ex socio George Clooney e l’algida Cate Blanchett assecondano una recitazione più esteriore e meno introspettiva, che può lasciare obiettivamente disorientati per la difficoltà di cucire non un ruolo ma un vero e proprio stile su degli attori inevitabilmente contemporanei. Ad una messa in scena vintage si abbina una narrazione dalla forma classica ma dai contenuti moderni. Libero dai limiti che il Codice Hayes imponeva a registi e sceneggiatori della Hollywood del 1945, Soderbergh affida al suo eroe assolutamente non invincibile, che ad ogni passo viene ingannato e picchiato, la forza di idee, concetti e dubbi che dovrebbero far riflettere anche sull’America di oggi. L’intreccio narrativo o la conduzione di esso potrebbe essere considerato come il problema fondamentale del film. Nel triangolo Clooney, Blanchett e gli intrighi di una città ambigua, la vicenda assume forse un eccesso di sfumature tipiche della narrazione attuale. Nessuno ne esce completamente pulito e non si comprende mai fino in fondo la netta spartizione tra bene e male come avveniva nelle pellicole del ’40. Se a questo si aggiunge una trama particolarmente contorta espressa attraverso un continuo spostamento dell’azione in avanti, modificando il punto di vista da un personaggio all’altro, si ottiene una storia mai spiegata chiaramente che esige un’ attenzione troppo costante e che non convince fino in fondo, nonostante una regia ed una fotografia memorabile.
di Tiziana Morganti