ccentrico, esilarante ma allo stesso tempo semplice e profondo Koi No Mon si è rivelato decisamente come una sorpresa della cinematografia giapponese del nuovo millennio. Le vicende di un giovane autore di manga che disegna i propri fumetti in maniera alternativa sui sassi anziché sulla carta costituisce un interessante ed originale espediente narrativo per sviluppare un discorso sull’arte e sulle sue possiblità di comunicazione. Matsuo Suzuki, fumettista qui al suo esordio registico, immerge le spettatore e se stesso nell’universo fantastico, extra-ordinario del fumetto giapponese: non solo Koi No Mon è la trasposizione cinematografica di un manga, ma tutti i suoi protagonisti si cimentano in quest’arte, mettendo in discussione tra di loro il canone tradizionale e la possibilità di uno stile innovativo, più adatto alle nuove generazioni. Le atmosfere colorate e frizzanti, i piacevoli eccessi sono quelli tipici del disegno, e riproposte sul set coinvolgono lo spettatore in un clima irreale e di forte ilarità; ritratto autoironico ma anche omaggio alla cultura del Sol Levante, il film si presenta ricco di riferimenti e citazioni, prime fra tutte quelle rivolte alla tradizione dei Samurai e al maestro Takeshi Kitano: il momento del ballo costituisce una vera chicca che riconduce inevitabilmente all’indimenticabile Zatoichi. Attori giovani ma brillanti suscitano simpatia nelle loro comiche peripezie, e con la semplicità dei loro volti e delle loro espressioni compensano la chiassosità degli ambienti. Riflessione sull’artista e sull’uomo compiuta rispettivamente alla luce dei rapporti con i propri maestri e i propri padri, Koi No Mon concede una nuvola di tenerezza nella chiosa finale, congedandosi compiutamente ai modi di un fumetto.
di Anna Rita Simeone