Da quando esiste il cinema, il tribunale ha avuto un ruolo predominante, per le dinamiche di indagine che la causa in atto poteva offrire dentro e fuori dall’aula. Se film come Il verdetto, Testimone d’accusa, o (sui generis) Chicagooffrivano una visione indoor dell’indagine processuale, Gary Fleder da cultore del “running thriller” qual è, sposta il punto d’attenzione dello spettatore all’esterno mostrando una Rachel Weisz in piena attività spionistica e vessatoria, un Gene Hackman modello regista del Grande Fratello che studia movenze, parole e comportamenti da dietro le quinte di uno studio televisivo e una serie di contatti umani che avvengono solo all’esterno della Criminal Court di New Orleans, tirata a lucido per l’occasione. Il cast è quello delle grandi occasioni, ma mentre da Hoffman e Hackman si ha esattamente quanto ci si aspetta (eccetto per la voce da topolino scelta per Hoffman che fa rimpiangere ancor di più il magico Amendola), da Rachel Weisz, pur non trattandosi dell’ultima arrivata, si ha una prestazione da vera star, versatile, centrata e dinamica come il personaggio richiedeva.
In effetti il pathos del triplo gioco che si viene a creare all’interno del film ricade proprio su di lei, ma la cosa non sembra pesarle più di troppo. Anche la produzione non si è risparmiata, con le 3.000 comparse impiegate e i 50 ambienti girati in esterno nel quartiere francese di New Orleans. Rispetto al libro di John Grisham, il film sposta il motivo di indagine dalle multinazionali del tabacco a quelle delle armi, visto che le seconde oggi muovono perplessità e preoccupazioni ben più manifeste delle prime, ridimensionate da qualche causa importante già messa a segno contro di loro. Si sarebbe rischiato inoltre di fare un secondo Insider – Dentro la notizia. Per il resto i temi ruotano attorno alla caducità del giudizio di una giuria di tribunale manipolabile da chiunque in qualsiasi istante, sul valore universale della giustizia e sulla capacità o meno di saperla applicare. Il regista di Don’t Say a Word lavora bene in crescendo, portando sapientemente lo spettatore a subire il finale come un colpo caricato per tutto lo svolgimento della trama. La giuria si presenta quindi come un cocktail ben riuscito di canoni cinematografici già sperimentati. Mescolate Il verdetto con Nemico pubblico e avrete un’idea di ciò che vi aspetta.
di Alessio Sperati