Ci sono voluti ben cinque anni di lavoro per vedere realizzato sullo schermo il nuovo lavoro di Darren Afronofsky ( Requiem For ADream). Un’attesa che poteva essere tranquillamente posticipata od addirittura disillusa, visto la pesantezza, e non si tratta di un’ esagerazione, con cui L’albero della vita – The Fountain è capace di abbattersi sullo spettatore senza lasciare alcuna via di scampo. Se è pur vero che Afronofsky è ben noto per la capacità di riversare nei film tutte le sue fantasie ed il suo sguardo allucinato, questa volta sembra essersi fatto prendere onestamente la mano, imbastendo una storia d’amore in tre epoche diverse e su tre diversi piani sensoriali, al centro della quale si colloca sempre e comunque la ricerca dell’eterna giovinezza, l’accettazione della morte e con essa della vita eterna. Detta in questo modo potrebbe apparire addirittura stimolante ed intellettualmente interessante, ma nella sostanza ci troviamo a dover maneggiare ottanta minuti di proiezione in cui viene mostrata in tutta la sua evoluzione una scontata morale da buoni cristiani infarcita a dovere con un’ essenza di misticismo orientale. Che si vestano i panni di un conquistador spagnolo sotto la santa inquisizione, di un moderno ricercatore o di un futuribile e fantascientifico uomo dello spazio che gravita in una non ben decifrata bolla completamente calvo ed in pigiama, il risultato rimane invariato. Senza impegnarsi in uno sforzo intellettuale eccessivo si comprende immediatamente come ogni diversa incarnazione si lanci nell’eterna ricerca di un santo Graal capace di donare l’immortalità, per poi comprendere come questa si raggiunga esclusivamente attraverso la morte stessa e la resurrezione. Una teoria fin troppo conosciuta per accendere un solo barlume d’interesse intellettuale, e che il regista newyorkese cerca di arricchire ed in qualche modo rafforzare con scelte stilistiche inflazionate ( l’escamotage narrativo di inserire una storia nell’altra attraverso la lettura di un libro o di una lettera non è certo una nuova invenzione) e con effetti visivi dall’indubbia bellezza, la cui presenza però sembra evidenziare la consapevolezza di un vuoto narrativo impossibile da colmare. Nonostante l’investimento di 35 milioni di dollari, gli effetti realizzati con la microfotografia non offrono una piattaforma solida ed essenziale per Rachel Weisz ( compagna di Afronofsky da cui ha avuto da poco un figlio) e Hugh Jackman ( che ha sostituito Brad Pitt), i quali, nonostante la loro indubbia preparazione, riescono a stento ad uscire illesi da questa impresa esistenziale ai confini della realtà.
di Tiziana Morganti