La Lettera film d’esordio di Luciano Cannito, già conosciuto nell’ambiente artistico per i suoi lavori in teatro e nella danza, racconta l’avventura di un gruppo di bambini di Pandimele, uno sperduto paesino dell’Aspromonte calabrese, che aiutati dalla loro maestra Margherita, interpretata da Vittoria Belvedere, riesce a portare un messaggio di solidarietà ad un uomo condannato a morte negli Stati Uniti. L’espediente narrativo del film è rappresentato da una lettera, anzi da due lettere attraverso le quali si svolge l’intreccio: la prima all’inizio del film, quando Margherita riceve la notizia del suicidio del padre in carcere perché sospettato di connivenze con lo scandalo di Tangentopoli; la seconda spedita dagli allievi di Margherita a George Middletown, un pellerossa americano condannato a morte per duplice omicidio in un carcere del Texas negli Stati Uniti. All’interno di un arco temporale di quattro anni, la vita di Margherita subisce dei cambiamenti perché dopo aver perso il prestigio economico datogli dalla famiglia si ritira in “esilio” in Calabria ad insegnare in una scuola elementare. Ma proprio qui sembra che il passato ritorni e attraverso l’esperienza con bambini la donna avrà una catarsi che la libererà dal passato dolore e la farà riaprire al mondo esterno. Non è un film sulla pena di morte, né su Tangentopoli dichiarano gli sceneggiatori e il regista del film ma solo un messaggio di ottimismo gridato da un gruppo di bambini per svegliare le coscienze assopite degli adulti, molto spesso sordi ai tormenti e alle richieste dei figli. E alla fine riusciranno ad esaudire il desiderio del loro amico americano: George verrà seppellito a Pandimele vicino ai suoi piccoli amici. Molto curata la scelta delle location: una Calabria selvaggia fa da contrappunto alle microstorie del film rappresentate dal rapimento del figlio di un collaboratore di giustizia da parte della ‘ndragheta, l’indifferenza e l’ostilità della comunità del piccolo paese nei confronti di Margherita, venuta dal Nord e l’incontro della donna con i bambini e con la loro voglia di essere vivi. Molto bella la sequenza della liberazione del bambino girata in una fiumana in secca e le sequenze girate in un vecchio paese abbandonato, luogo scelto dai bambini come “base” della loro “rivolta” contro i grandi. Una favola a lieto fine, dunque, in cui ancora una volta, e sembra questa una marca stilistica distintiva dei film italiani degli ultimi tempi, sono protagonisti i bambini e il Sud dell’Italia: forse espedienti narrativi che nell’immaginario collettivo hanno la funzione di un ritorno alle origini?
di Natalia Sangiorgi