All’inizio c’è un sospetto alimentato da una atmosfera vagamente hitchockiana, ma tutto si dissolve velocemente all’interno di una sceneggiatura che, pur applicando scolasticamente le regole del thriller, non riesce a sostenere fino in fondo il principio fondamentale della suspense. Scritto e diretto dall’australiana Ann Turner, Le verità negate avrebbe rappresentato potenzialmente il modello classico di una mystery story ben riuscita se la regista non avesse compiuto delle leggerezze in fase di scrittura. Volendo giocare con i moduli del thriller e del dramma psicologico, la Turner non è riuscita a gestire con armonia i due elementi. Il risultato è un mistero che perde immediatamente appeal ed una evoluzione intimista poco approfondita. La sensazione è quella di assistere ad un percorso narrativo e visivo particolarmente scomposto ed indeciso, all’interno del quale appare evidente una certa confusione di base proprio in fase di scrittura. Una percezione questa che accompagna l’intera orgnizzazione e definizione del film. Se è possibile apprezzare una messa in scena che ci proietta immediatamente all’interno di un ambiente sempre più minaccioso, la fotografia patinata e la scenografia elegante appaiano del tutto accessorie di fronte alla disattesa presenza di un brivido. A peggiorare la sensazione anche un’ evidente difficoltà nel gestire e suddividere la storia lungo l’intera durata temporale del film. Tutto accade troppo velocemente e troppo presto. Gli avvenimenti essenziali si accavallano durante le battute iniziali della vicenda, per poi vanificarsi, perdersi in un nulla narrativo che accompagna fino ai titoli di coda. A tratti ingenuo e troppo denso di spiegazioni, il film deborda verso un appiattimento emotivo, ed una deducibilità imperdonabile per un thriller psicologico. A peggiorare la situazione una regia tradizionale che , priva di sorprese e votata alla staticità, non contribuisce certo a distogliere lo sguardo da alcuni passi falsi drammaturgici pericolosamente vicini al comune senso del ridicolo. In definitiva Ann Turner, presa dall’ansia di stupire a tutti i costi, promette molto e mantiene decisamente poco. Risolleva in parte le sorti del film un cast di particolare qualità formato dal premio Oscar Susan Sarandon, Sam Neill ed il talento emergente Emily Blunt( Il diavolo veste Prada). In modo particolare, in questa vicenda declinata fortemente al femminile, trovano risalto i ruoli delle due antagoniste. Pur se il confronto della donna matura con la contendente più giovane fa parte di un clichè narrativo che Hollywood ha ampiamente sfruttato da Eva contro Eva ( Joseph L. Mankiewicz 1950), il faccia a faccia tra la Sarandon e la Blunt non conduce verso alcun deja vu cinematografico. Merito probabilmente dell’intervento attivo della stessa Sarandon nella costruzione del suo personaggio, capace di vivere grazie a diverse sfumature tra l’esser vittima e carnefice allo stesso tempo.
di Tiziana Morganti