Le corsie di ER e le vicende pseudo sentimentali del Dott. Ross sono decisamente un ricordo sbiadito e lontano. Archiviata anche la saga di Danny Ocean, oggi Clooney ci tiene a rappresentare ed essere rappresentato da prodotti impegnati sull’onda del cinema di denuncia sociale e politica degli anni ’70. Certo il suo fascino colpisce sempre nel segno, ma George il Magnifico è decisamente cresciuto. A 46 anni e con un Oscar conquistato con Syriana, torna al Lido per sostenere il debutto alla regia di Tony Gilroy (sceneggiatore e padre creativo della trilogia di Bourne Identity) con il film Michael Clayton ( nelle sale italiane dal 5 ottobre). “ Quando ho incontrato Tony per la prima volta ho capito che avrebbe avuto tutte le qualità per dirigere una troupe di 150 persone. E nel momento in cui sono iniziate le riprese tutto è andato ancora meglio. L’unica cosa che non mi è proprio andata giù è di avere un regista più bello di me.” Dopo aver toccato l’ambiente della stampa ed aver scavato nel fondo della CIA ora Clooney si addentra nei meandri contorti delle multinazionali per dare vita ad un thriller dai risvolti umani profondi. Michael Clayton è uno “spazzino”, o meglio il risolutore di uno dei maggiori studi legali di New York. Il suo ruolo è rimediare ai danni commessi dai facoltosi clienti di Kenner, Bach e Ledeen. Travolto da un divorzio, costretto in un ruolo paterno part time, deluso da un rovescio imprenditoriale e da un fratello alcolizzato, si trova a dover affrontare le crisi emotive ed etiche di uno degli avvocati più facoltosi dello studio, arrivando a scoprire intrighi e compromessi aziendali. Al termine della vicenda Clayton si trasforma in un uomo diverso. Durante un viaggio in taxi senza meta e senza scopo, con la telecamera fissa sul suo volto ferma ad indagare e scrutare, la stanchezza ed il tormento lasciano il posto ad un sorriso vagamente ironico per essere riuscito almeni in parte a riagguantare la sua vita. “Michael è un risolutore ambiguo e profondamente in crisi – spiega Clooney – Ha usato tutte le opzioni a sua disposizione ed ora si trova intrappolato all’interno di schemi che lo hanno stancato e di cui non comprende più la necessità. Ed è proprio in quel momento, nel profondo del tormento, che comincia a porsi delle domande fondamentali.”
Dopo anni trascorsi a scrivere sceneggiature trasformate in grandi successi al botteghino ( L’avvocato del diavolo, Rapimento e riscatto, The Bourne Identity) Girloy passa dietro alla telecamere con un film che ha protetto e sostenuto con particolare attenzione. “ Dopo aver scritto questa sceneggiatura ho deciso quasi immediatamente di tenerla per me. Così l’ho chiusa in un cassetto fino a quando non si è presentata l’occasione giusta. Non avevo alcuna intenzione di esordire con un film commerciale e sono riuscito nel mio intento. Michael Clayton mi ha offerto la possibilità di esprimermi con maggior libertà grazie ad una melodia interna molto forte.” Oltre all’attenzione di George Clooney, la sceneggiatura di Girloy è stata in grado di catturare anche il favore di un cast di grande prestigio. Da Sidney Pollack a Tilda Swinton e Tom Wilkinson tutti contribuiscono alla costruzione del labirinto all’interno del quale Clayton si aggira alla ricerca di una via d’uscita. Ed è proprio grazie a questo cast che non commette alcun errore e ad una certa originalità nella composizione stessa della vicenda che Gilroy costruisce un thriller onestamente difficile da racchiudere in uno schema preconfezionato. Privo d’inseguimenti e scene all’ultimo respiro, il film si muove attraverso un ritmo più pacato, lasciando spazio ad una suspance etica e morale più che ad un action a cui siamo fin troppo assuefatti. Certo il tema di sottofondo è quello già sfruttato della lotta alle corporazioni, ma velocemente lascia il posto al ritratto tormentato di un uomo in lotta tra la sua capacità di mettersi in vendita e l’improvvisa certezza di dover salvare almeno una parte della propria anima.
di Tiziana Morganti