C’è la bambina di sei anni che gioca ad essere incinta con tanto di dettagli più veri del vero, l’adolescente divenuto, dalla sera alla mattina, ebreo ortodosso che non fa che aggirarsi per casa con libroni e candele, il nonno cieco che gioca col coltello e nell’armadio conserva un fucilone sempre a portata di mano, e c’è la figlia maggiore ninfomane per hobby e la madre che tanto vorrebbe essere vedova, mentre il padre più spesso non c’è, zigzaga tra lavoro e amanti ed ha un gran daffare. E poi c’è lei, la giovane Gloria, che vorrebbe solo presentare il suo nuovo fidanzato (ma aspirante marito) alla famigliola in una sera qualunque e un modo qualunque. Se solo potesse. In quella baraonda che si chiama famiglia, tra una provocazione e l’altra (perché il giovinotto è palestinese e la famiglia ebrea, anche se vivono entrambi quasi da sempre nella pacifica Madrid), e tra un’attesa e l’altra, dato che per un padre che non arriva c’è un giovane sull’orlo di una crisi di nervi sicuro di aver ucciso proprio il potenziale suocero (con una zuppa surgelata che gli è volata dalla finestra) e sicuro che la polizia stia arrivando.
Se vi sembra abbastanza per chiamarla storia di ordinaria famiglia questo film fa per voi. E non lasciatevi fuorviare dal titolo (italiano), Il mio nuovo strano fidanzato, più frivoleggiante di quanto la storia riservi: dentro vi batte un cuore sfaccettato. Perché commedia degli equivoci vuole essere questo film firmato dalla coppia (nel lavoro ma anche nella vita) Teresa De Pelegri e Dominic Harari, presentato allo scorso festival di Locarno e vincitore al festival di Montecarlo per il Miglior Film e la Migliore Sceneggiatura. E commedia sino allo stremo, con un ritmo che si mantiene brioso sino alla fine, un intrecciarsi di situazioni comico-demenziali senza soluzione di continuità, una recitazione differenziata che fa scintille nel palleggio tra il nervosismo implosivo del protagonista maschile (Guillermo Toledo) e la follia esplosiva degli altri, con un gracile ago di bilancia, la giovane protagonista (Norma Aleandro) che, alla fine, perde il baricentro come tutti gli altri. Ma commedia che non disdegna di partire da un attrito, quello tra ebrei e palestinesi, fatto solo di pregiudizi e incapacità di parlarsi, e anche se questo non è che un pretesto, usato ma non abusato. Un pretesto come un altro per partire da uno scontro e finire in un incontro, appunto nell’happy-end d’ordinanza. E, soprattutto, per coniugare famiglia, sesso e Medio Oriente, quelle che la coppia di sceneggiatori-registi riconosce come le proprie ossessioni. Con la consapevolezza che l’unico modo di gestire le proprie ossessioni è sbatterci contro per gioco, per riuscire magari domani a riderne davvero. Praticamente la storia di ogni arte.
di Silvia Di Paola