Una ruvida e commovente storia di periferia. Una periferia urbanistica e dell’anima, un limbo esistenziale in una città post-industriale in via di smantellamento, invasa dai cantieri. Tra le macerie delle fabbriche dismesse e delle loro famiglie si dipanano le tormentate e squallide vite di Ferdi e Alessandro, due sedicenni compagni di scuola che con l’amico Toni vanno alla ricerca di un loro posto nel mondo. Sono i protagonisti di Nemmeno il destino, il film prodotto da Domenico Procacci, Gianluca Arcopinto e Pierpaolo Trezzini nelle sale da venerdì 5 novembre che Domenico Gaglianone, il regista de I nostri anni, ha liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Gianfranco Bettin. A interpretarlo i bravissimi esordienti Mauro Cordella, Fabrizio Nicastro e Giuseppe Sanna. Ferdi vive col padre, ex operaio ammalatosi gravemente in fabbrica che cerca di dimenticare la sua triste sorte attaccandosi alla bottiglia. Alessandro è figlio di una ragazza madre cresciuta dalle suore ma mai diventata realmente adulta che tenta di sfuggire ai ricordi di violenze subite e alla mancanza d’ amore soffocandolo di premure. Le loro sfide per sfuggire a un grigio futuro che fatalmente appare già segnato, al mondo sconfitto dei genitori, si consumano a scuola, con atteggiamenti comico-strafottenti versi i professori e furiose corse senza meta a bordo di uno sgangherato motorino che per un sempre più consapevole Ale simboleggiano le ali della libertà.
Quando Toni, il più determinato, molla tutto e tutti per andare a costruirsi un futuro migliore, quel martoriato angolo di mondo sembra chiudersi loro addosso. Ale si lancerà in un volo pindarico che inevitabilmente si concluderà in tragedia. Il dolore scatenerà reazioni violente nel mite Ferdi che per vendicare dall’ingiusto sfratto il suo bidello e la moglie che lo hanno sempre accudito amorevolmente, darà fuoco alla casa. Finirà affidato a una casa famiglia per ragazzi difficili, che strappandolo al riformatorio gli aprirà forse uno spiraglio per un riscatto futuro. Una storia intensa di una maturazione dolorosa, ma anche di una coraggiosa riconciliazione con la vita, attraverso il fuoco di una rivolta innanzitutto interiore che Gaglianone dedica «a tutti quelli che si sono perduti per sempre, a coloro che si sono perduti e ritrovati, a tutti gli amici conosciuti in quell’età dove si diviene amici d’istinto, a tutti i genitori e i figli che si sono capiti troppo tardi, a quelli che non ci stanno, che pensano che ci debba essere un altrove da conquistareì». Una rabbiosa elegia, un pianto gridato, un urlo silenzioso e muto contro i fantasmi del passato e i mostri del presente.
di Betty Giuliani