Che Piero non trovi nessun messaggio in segreteria e che il pensionato Walter non riceva posta nemmeno dall’INPS non sortisce alcun effetto. Ciò che colpisce è il loro atavico e voglioso bisogno di chiedere ogni giorno novità che, inesorabilmente, non arrivano. Eppure Walter (Carlo Delle Piane) non ci sta a rimanere chiuso in casa a guardare vecchie registrazioni di programmi di Funari – l’unica sua passione – o peggio a passeggiare all’aperto sentendosi solo in mezzo a centinaia di persone. Un giorno, leggendo un quotidiano, arriva l’illuminazione: “Per ogni giovane che lavora c’è un anziano che sta in pensione”, legge. Il sondaggio Istat, nell’immaginario di un pensionato di 70 anni che non sa come occupare il suo tempo, diviene una vera e propria ossessione: Water deve trovare il giovane che sta lavorando per lui e coccolarlo perché possa svolgere il suo compito sociale al meglio. Il suo lavoratore si chiama Piero (Pierfrancesco Favino), timidissimo, impacciato, deriso dai colleghi, single non per scelta, e che non sapeva di avere un pensionato a carico e uno poi che ti urina sulla macchina per attirare la tua attenzione. La solitudine di queste due persone, così uguali e così diverse, non è data dalla mancanza di qualcun altro, è data dall’incapacità di esserci: Piero ogni giorno tenta di recapitare messaggi sotto forma di spazzatura all’affascinante operatrice ecologica Francesca (Lorenza Indovina), ma poi, al primo appuntamento, non si presenta nemmeno.
Poi c’è il videodiario di una spogliarellista (Anna Falchi), la prova vivente che l’estroversione non evita di rimanere soli, anzi. Peccato che il messaggio arrivi confuso, che ad Anna Falchi venga dato l’ingrato compito di aprire il film con un monologo sul talento. La coppia Genovese/Miniero, quella di Miracolo napoletano, si prende evidentemente gioco dello spettatore in più di un’occasione. Sia per lo scambio d’attore Favino/Mastandrea che richiede un po’ di tempo per essere metabolizzato, ma soprattutto dopo l’incipit della Falchi al di là del quale ci si aspetta un film sulla falsariga dell’ultimo Pupi Avati, una riflessione sulle dinamiche e sul confronto tra talento e passione, ma così non è, il tema non verrà mai più ripreso. Ci si chiede se sia stata la necessità di conferire un’apertura di riguardo alla sorella del produttore Sauro Falchi, ma non vogliamo dare adito a facili malignità: fatto resta che la Falchi in questo film non c’entra veramente una cicca. Se facessimo il confronto con il diverso spessore del ruolo di Gianfranco Funari, presente come un’idea di libertà extra-mediatica per tutto il film e poi apparso a Walter solo una volta, come un fantasma, durante una passeggiata sul Tevere, scopriremmo una ricchezza e un valore enunciativo presente nella sola sua frase “La televisione è come la cacca, bisogna farla ma non guardarla”, e soprattutto nel suo modo di pronunciarla, paragonabile alla prepotenza comunicativa di una poesia di Trilussa. Nessun messaggio in segreteria si presenta come una delicata e piacevole commedia all’italiana poggiata sulle solide spalle artistiche di Carlo Delle Piane, magistrale nel duettare con qualsiasi tipologia di attore, da Favino a Mastandrea, fino alla soprendente Nicole Murgia.
di Alessio Sperati