Lesivo per qualsiasi curriculum, Talos – L’ombra del faraoneirrompe nell’estate italiana dopo lunghe traversie distributive in giro per il mondo. Con le sue quattro (almeno) versioni diverse e con sei anni di “stagionatura” dal suo completamento alla distribuzione in Italia, si attesta come uno di quei prodotti votati ad arricchire le bacheche dei video-rentals più forniti. I meriti per la sua uscita vanno all’italiana Moviemax, al suo secondo titolo dopo Ripper: Lettera dall’Inferno, ed alla coincidenza del Fantafestival che saprà dargli il giusto contesto. Semplice esecuzione senza verve per il regista di Highlander, Russell Mulcahy, dilettatosi a variazioni sul tema mummie e maledizioni egizie. Dai classici Universal ad Alfred Hitchcock, Mulcahy non esita a far man bassa di citazioni, riprese, atmosfere e personaggi: ci sorprenderà la fedeltà di una scena ad alta tensione con una doccia come protagonista e un’invasione di uccelli rapaci ad allietare le già poco tranquille serate della compagnia di archeologi, con gli originali hitchcockiani. Per il resto bisogna tornare ancora più indietro nel tempo, considerato che il primo cortometraggio con protagonista una mummia risale al 1911, ci rendiamo conto che di riferimenti ce ne sarebbe un’enciclopedia. Notiamo con piacere un rapido cameo di Christopher Lee che ci è sembrato però meno in forma in questa pellicola del 1998 che in Star Wars II – La guerra dei cloni. Oltre a lui notiamo un gradito ritorno, quello di una reginetta dei b-movies anni ’90, una Lysette Anthony che, pur lavorando con una frequenza paragonabile a quella di Nicole Kidman, con una media di due film l’anno, non è mai stata utilizzata come meriterebbe. Talos usa un tipo di effetti ormai obsoleto, anche e soprattutto per il budget piuttosto limitato, ma questo non inficia una certa credibilità nelle scene di uccisione dove le bende svolazzanti di Talos (realizzate in CGI) avvolgono e maciullano le vittime nei modi più creativi e bizzarri. Sul film evitiamo di dare giudizi complessivi, ma ci limitiamo ad un giudizio di genere: tralasciando il fatto che Talos sia un nome greco e non egizio e che l’usanza di rimuovere gli organi dal corpo del defunto fosse in numero di quattro e non di sette, possiamo dire di trovarci di fronte ad un classico e malinconico tentativo di horror piuttosto datato, a basso budget e girato da un regista in declino.
di Alessio Sperati