Una voce può cambiare la realtà? Quella di Jean Dominique, dalle frequenze di Radio Haiti Inter, ci è riuscita. Una voce roca, capace di trasformarsi in un grido di dolore o di esultazione mentre assiste alle alterne fortune che si abbattono, spesso imposte “dall’alto”, sul suo Paese e sul suo popolo. La straordinaria e indomabile figura di Dominique è il cuore pulsante del documentario The Agronomist del regista premio Oscar Jonathan Demme (Il silenzio degli innocenti, Philadelphia), che lo ha intervistato in più riprese, prima che la sua voce fosse spenta per sempre da sicari armati da chi, quella voce, non era riuscito in nessun altro modo a spegnere o piegare alle proprie convenienze. È il 1968, quando Dominique, “agronomo senza terra”, compra la più vecchia stazione radiofonica locale e diventa il giornalista più impegnato nella battaglia per i diritti civili degli haitiani. E la sua presa di coscienza avviene in un modo singolare: attraverso il cinema. Guardando i film di Fellini, Godard, De Sica, Resnais, si convince che il cinema è sempre “un atto politico” e fonda un cineclub per la sua gente. Per Haiti sono gli anni della dittatura di Duvalier padre che, con il beneplacit degli americani, regna su un popolo per l’ottanta per cento ancora analfabeta e sfruttato nei campi. Prima di essere imprigionato per le sue idee sovversive, Dominique riesce a filmare alcuni documenti straordinari, tra cui un rituale voodoo, che lasciano intuire quanto sia profondo il solco tra l’anima popolare di Haiti e la sua corrotta classe dirigente.
Dopo la chiusura imposta al cineclub e una trasferta a Parigi, il giornalista imbarca nell’avventura radiofonica quella che sarà la sua compagna di sempre, Michèle Montanas, alla cui voce morbida ma inflessibile sarà affidata la lotta per il futuro di Haiti dopo la morte del giornalista. Sfruttati sin dal 1956 sotto i regimi di Duvalier padre e figlio, gli haitiani, poco per volta e grazie alle trasmissioni coraggiose (e in creolo) di Radio Haiti, prendono coscienza dell’odiosità del regime e del loro diritto alla libertà e alla democrazia. E anche se la radio viene più volte chiusa e devastata e Dominique costretto all’esilio negli Usa, ormai la rivoluzione è iniziata e la gente scende in piazza pretendendo una svolta radicale: il diritto all’autodeterminazione. Passano i leader, anche americani (Carter, Reagan, Clinton), e la speranza si alterna al riflusso, soprattutto dopo l’elezione di Aristide, acclamato dal popolo, sostituito non senza resistenze e pressioni internazionali al golpista Cedras. Anche nella voce e negli occhi di Dominique si alternano la speranza e la disillusione che qualcosa, finalmente, possa cambiare. Rimane intatta la fermezza di un uomo che ha messo ogni sua parola e ogni suo atto a disposizione del suo popolo, senza mai piegarsi a compromessi. “Risky business”, la sua frase preferita. Fino a quel tragico agguato che, nell’aprile del 2000, ha solo spezzato, ma non interrotto, il discorso su un altro mondo possibile.
di Beatrice Nencha