Non potendo paragonare il blockbuster di Jonathan Frakes alla serie tv ideata dal britannico Gerry Anderson negli anni Sessanta, si può soltanto dire che Spy Kids, al confronto di Thunderbirds, è un capolavoro assoluto. Questo lungometraggio appartiene alla categoria dei film per bambini (di 8 o 9 anni al massimo), unici che potrebbero (ma non è sicuro) trovare soddisfazione nelle partenze funamboliche dei jet supersonici che imperversano per tutta la durata del film. Dialoghi ai limiti della dislessia, caratterizzazioni piatte ed omologate ai peggiori stereotipi hollywoodiani, un plot privo di stile e originalità, di un politicamente corretto che fa rabbrividire. Per non spaventare i pupi, infatti, la spavalda Lady Penelope, se nei cartoons fumava come una assatanata ora si crogiola in vestitini rosa, inespressiva fino ad una sorta di paresi facciale, per non dire del premio Oscar Ben Kingsley, nella sua peggior performance professionale. I tre ragazzi (un biondino in piena tempesta ormonale, l’altro il genietto bruttino e balbuziente come il padre scienziato e una bambina che alla fine si trasforma in un’inquietante Lolita truccata a bordo piscina) che tengono su la trama, sono professionali e già calati nello ‘star system’: si danno da fare per salvare la banca di Londra dai cattivoni, aiutano sciagurati genitori troppo presi dalla smania dei microchip, entrano nel team dei Salvatori della Terra. Inutile dire che i film popcorn sono solo una scusa per sceneggiatori pigri e fin troppo pagati, ormai convinti che gli spettatori delle sale cerchino soltanto un’evasione fasulla che faccia dimenticare il terrorismo reale, la politica internazionale e i veri problemi di un mondo complicato. Il deficit di creatività è nascosta dietro fin troppi effetti speciali per cineplex sempre più sofisticati, ma la freschezza e la genialità di un prodotto come Star Trek sembra appannaggio, ormai, di cinefili accaniti e, forse, incattiviti.
di Vincenzo Mazzaccaro