Dopo aver realizzato il corto The Mountain King nel 2000, il regista Duncan Tucker scrive e dirige un road movie su un transessuale che si dà da fare, con due lavori, per completare il suo sogno di diventare donna a tutti gli effetti. In seguito ad una inaspettata telefonata, Bree (interpretata dalla “casalinga disperata” Felicity Huffman) viene a scoprire che, da una relazione eterosessuale avuta nella sua passata vita da uomo, è nato un figlio: lo scapestrato Toby, ora teenager, cui concede anima e corpo il Kevin Zegers de L’alba dei morti viventi (2004). Il ragazzo, alla ricerca di suo padre, dovrà essere prelevato proprio da Bree in un penitenziario di New York, dove giunge in aereo. Ma lei approfitta per tenere celata la propria identità nel momento in cui il ragazzo la scambia per una missionaria cristiana in opera di redenzione e conversione. Inizia quindi per loro un significativo viaggio attraverso l’America, durante il quale Toby non potrà fare a meno di sfuggire a Bree per avventurarsi alla ricerca del padre, tra droga e pornografia. E Tucker, con un cast che comprende, tra gli altri, la Elizabeth Peña di Allucinazione perversa (1990) ed il Burt Young entrato a far parte dell’immaginario collettivo grazie al personaggio Paulie della serie Rocky, ci accompagna, tra paesaggi rurali e sonorità country, all’interno di una coinvolgente vicenda che affronta in maniera originale temi come l’emarginazione sociale e la diversità.
Il film si fonda ovviamente sulla buona performance degli attori, sui quali primeggia la Huffman, già vincitrice del Golden Globe per la miglior attrice protagonista e che, per poter interpretare il ruolo di Bree, ha affrontato un radicale processo di trasformazione fisica e psichica, supportata dallo staff tecnico-artistico e disponendo di Danea Doyle, coach che insegna ai transessuali donna a comportarsi come donne vere. Tra discorsi gay riguardanti Frodo e gli altri personaggi de Il Signore degli Anelli e dilatatori vaginali chiamati Keanu 1 e 2, in riferimento all’attore Reeves, non manca poi l’ironia; ma il regista, nonostante l’argomento trattato, non scade mai in volgarità gratuite, distaccandosi nettamente da sopravvalutati ed indigeribili prodotti dall’argomento analogo, come il recente 20 centimetri (2005) di Ramón Salazar. Infatti spiega: «La storia di Transamerica è al contempo universale e rivoluzionaria. È strano pensare che tutti gli esseri umani ambiscano alle stesse cose – la famiglia, l’amore, la casa – anche al di fuori del concetto di “normalità”. Il personaggio principale di Transamerica è transessuale, eppure il film non è incentrato sulla transessualità. A ben guardare, si tratta della classica storia basata sul legame genitore – figlio, strutturata come i consueti road movie americani. Ma le vite dei protagonisti sono tutt’altro che consuete. Il mio desiderio è che Transamerica riesca a far entrare lo spettatore in simbiosi con Bree e Toby, due esseri umani che normalmente vengono percepiti come outsider o, peggio, ignorati del tutto».
di Francesco Lomuscio