Il regista Eros Puglielli porta al Festival di Venezia un film di genere, il thriller poliziesco Occhi di cristallo, che da un lato richiama esplicitamente il cinema di Dario Argento per le atmosfere notturne e la predilezione per gli effetti splatter e truculenti, dall’altro si rifà a opere quali Il silenzio degli innocenti e Seven, soprattutto nel delineare la figura del serial killer come un uomo malato e perverso, ma anche per il montaggio frenetico e la bella fotografia che risalta i forti contrasti tra luci e ombre (merito del montatore Mauro Bonanni e dell’operatore Luca Coassin). Il film non è esente da problemi a livello narrativo e recitativo: la sceneggiatura presenta numerose lacune e cadute di gusto nei dialoghi, specie in quelli che si svolgono tra il poliziotto e la studentessa di antropologia; la conseguenza di questa carenza nella scrittura si coglie soprattutto nella recitazione degli attori, quasi tutti fuori parte. Luigi Lo Cascio con tutta probabilità qui si presta alla sua peggior interpretazione di sempre, continuamente imbambolato in espressioni di stupore involontario o di rabbia ingiustificata; al suo fianco c’è la spagnola Lucia Jiménez, le cui battute doppiate in italiano stonano con la recitazione in presa diretta del protagonista. Gli aspetti migliori del film di Puglielli risiedono nell’attenta descrizione degli ambienti e nella morbosa raffigurazione dei particolari più disturbanti degli efferati omicidi compiuti dall’assassino. Per tutta la durata del racconto non si riesce a intuire in quale città il film sia stato girato, poiché vi è la precisa volontà di ricreare uno spazio irreale, claustrofobico, lontano da qualsiasi possibile riferimento geografico, un ammasso di costruzioni fatiscenti, di locali asettici, di abitazioni gotiche e in rovina di grande impatto visivo, che per certi versi ricordano molto gli scenari tipici di molti fumetti gialli all’italiana.
di Simone Carletti