Due fratelli (solo di madre) che non potrebbero essere più distanti per indole, cultura, classe sociale, opinioni politiche, ma soprattutto per ciò che la vita alla fine della corsa sceglierà per loro. Michael (il dimesso Christian Ulmen), biologo molecolare totalmente e unicamente coinvolto dalle sue ricerche e scoperte genetiche. Introverso ai limiti del patologico, animo gentile e garbato, timido con le ragazze (il primo bacio con l’amata di sempre scatterà dopo dodici anni di conoscenza) arriverà vergine all’età adulta. Bruno (un rozzo Moritz Bleibtreu), un perverso professore di lettere schiavo delle proprie pulsioni sessuali, razzista convinto, alcolizzato, impasticcato ai limiti col suicidio. I due in comune hanno solo una madre hippy che ha abbandonato entrambi per condurre la propria vita dissoluta. Ciò che li avvicina rendendoli partecipi l’uno della vita dell’altro è un antico e oscuro dolore che si portano dentro conducendo due vite parallele e solitarie (nonostante Bruno sia sposato con figlio). L’amore entrerà prepotentemente in gioco devastando la silenziosa esistenza di Michael e distruggendo la nevrotica vita di Bruno. Con esiti opposti. Michael non potrà mai diventare padre, in pieno contrasto con ciò a cui ha dedicato gli studi di tutta una vita (la genetica e la riproduzione sessuale), Bruno in modo diverso dal fratello non sarà mai padre del figlio che la moglie gli toglierà.
Michael ricerca affinché sia possibile la procreazione senza che avvenga alcun contatto fisico tra i sessi, un contatto che lui stesso paventa anche solo nel banale gesto di abbracciare sua madre. Bruno si butta a capofitto in torbide esperienze sessuali per sentirsi un po’ più felice. Ma la felicità, quella vera, non esiste, e Bruno finirà i suoi giorni rinchiuso in una clinica psichiatrica. Per il regista Oskar Roehler i due fratelli sono relitti emotivi, e mai definizione fu più azzeccata. Non nuovo all’analisi dettagliata e implacabile dei rapporti umani che diventano autodistruttivi, il regista è considerato dai più un cacciatore di scandali (un titolo a caso della sua filmografia è Suck My Dick). Eros e Thanatos che si mescolano in una spirale vorticosa senza fine. I due estremi della vita che si beffano dei due uomini rendendoli schiavi, ora del sesso, ora della morte. Il sesso è portatore di vita, anche quello più estremo che vive la donna di Bruno, Christiane (affascinante Martina Gedeck). Attraverso lo sfogo delle sue più recondite fantasie sprigiona il suo amore per la vita, estremo e totalizzante, fino ad annientarsi in nome di un amore troppo violento da essere sopportato senza laceranti ferite. Bruno alla fine ha deciso di smettere di lottare contro il suo destino, lascia che le cose siano e succedano.
Dice Michael all’inizio del film che la verità è una particella elementare, non è ulteriormente divisibile, è una. La verità di tutti si risolve nel film (ma anche nella vita) attraverso la sessualità. Nell’omonimo best seller di Michel Houellebecq si analizza la società occidentale del XX secolo in quanto permeata da desiderio di conoscenza, sete di sapere e frustrazione sessuale da cui scaturisce la forte aggressività umana. Il modo in cui permettiamo ai nostri sensi di guidarci rappresenta ciò che siamo. Il caro vecchio Sigmund Freud non sbagliava poi tanto con le sue fissazioni sulla connessione di sogni e oggetti col sesso. Allo stesso modo protagonista è il mai sopito complesso di Edipo di cui in modi differenti sono vittime entrambi i fratelli. L’atto sessuale è il momento di maggiore verità di una persona, quando si è come si è, senza freni e senza maschere. Senza false ipocrisie. Il desiderio, contrariamente al piacere sessuale, è fonte di sofferenza, di odio e di infelicità…la nostra unica possibilità di realizzarci è vivere il sesso…la verità è scandalosa, ma senza non c’è nulla che valga…siate abietti, siate veri. Parola del controverso Houellebecq.
di Claudia Lobina