Come vi sentireste vedendo Clint Eastwood duettare al pianoforte con Ray Charles? Esatto, proprio come mi sono sentito io, sono rimasto a bocca aperta di fronte a tanta grazia. Ma, a parte l’emozione per questo team up degno dell’immortale albo a fumetti Superman vs Cassius Clay, Piano Blues è una di quelle opere che riconcilia con le più svariate forme cinematografiche. Documentario strutturato con un rigore classico per il genere e allo stesso tempo film che riesce a mantenere una tensione degna di un thriller, visto il crescendo di leggende della musica che passa sullo schermo, quest’ultima tranche della serie dedicata alla più importante forma d’arte americana, prodotta e fortemente voluta da Martin Scorsese, è davvero la classica ciliegina sulla torta. Eastwood è da tempo uno degli autori più importanti del cinema americano ed è anche un esperto di blues e jazz, non meraviglia quindi la competenza con cui ci fa da cicerone attraverso questa galleria di veri e propri pionieri di un linguaggio a cui ha poi attinto la musica moderna dagli anni ’60 in poi. Ed è divertente e anomalo vedere il duro Clint conversare timido e rispettoso con tutti i grandi che incontra in questa viaggio attraverso l’utilizzo della tastiera d’avorio nel blues.
Segno ulteriore di quanto sensibile sia quest’attore che molti hanno sempre relegato al ruolo di pistolero col poncho o sbirro col pistolone e a che è invece molto più vicino al fotografo del National Geographic de I ponti di Madison County. Se dovessimo fare un confronto il documentarista e il regista, potremmo dire che Piano Blues è in realtà la base ritmica del cinema di Eastwood, un tempo che possiamo facilmente riscontrare soprattutto nei suoi due film più musicali, anche se per differenti ragioni, ovvero Potere assoluto e Mezzanotte nel giardino del bene e del male.
Piano Blues è uno di quei film da vedere per tante ragioni, soprattutto perché ognuno di noi dovrebbe cercare di arricchire le proprie conoscenze grazie all’arte del documentario, senza necessariamente aspettare che sia presentato da Superquark, e poi, naturalmente, perché Clint Eastwood è un regista che ha già un posto di diritto nell’Olimpo del cinema. Quindi tanto vale non perdersi neanche un pezzo della sua imprescindibile opera.
di Alessandro De Simone