Amore, matrimonio, famiglia. Valori universali messi in discussione dallo strumento cinema che sfoglia le pagine di un libro mai ultimato. Tra i tanti amori impossibili illustrati con la macchina da presa oggi quello del differente colore della pelle può far solo ridere (Indovina chi), perché quello tra due uomini diventi uno scandalo si ha bisogno di un’ambientazione estrema come il mondo dei mandriani dello Utah (I segreti di Brokeback Mountain), ma per illustrare le difficoltà di unione tra due persone con grande differenza di età e di fede basta andare a Manhattan. Se n’è accorto Ben Younger che iniziò a scrivere Prime prima ancora dell’interessante Boiler Room – 1 km da Wall Street. Al centro della vicenda c’è Rafi (Uma Thurman che ha scalzato in extremis Sandra Bullock) produttrice fotografica di trentasette anni con un matrimonio alle spalle, niente figli e tanta voglia di ricominciare. Poi c’è David (Bryan Greenberg), studente ventitreenne con l’hobby della pittura. E in mezzo a loro una strepitosa Meryl Streep che si cala nel ruolo di Lisa Metzger madre di lui e psicanalista di lei, colpita dal profondo dilemma freudiano quando, prima dei diretti interessati, viene a conoscenza dell’inghippo.
Mentre i due rapporti scorrono paralleli (quello tra Rafi e David e quello tra Rafi e Lisa) Younger mostra una certa abilità nel dare spessore ad un plot fondamentalmente semplice e nel mantenersi con un certo equilibrio tra la commedia e il dramma. Si ride quando sul filo dell’equivoco la Thurman confida le sue esperienze sessuali alla madre del suo uomo, si riflette invece quando si ha il primo confronto con la famiglia tradizionalista di lui. Il problema non è tanto il fatto che lui abbia 14 anni meno di lei, quanto il fatto che per Lisa, ebrea, è inconcepibile una nuora che non sia della sua stessa fede religiosa. Si riflette anche sulla condizione della donna alle soglie dei quaranta con un matrimonio alle spalle, anche se trattandosi in questo caso di una donna in carriera con una certa indipendenza economica il quoziente di difficoltà è notevolmente inferiore alla media. I difetti di Primeconsistono nella non fluida scelta dei tempi: alcune scene sono troppo lunghe, altre del tutto inutili (troppo ripetitivo lo sketch con la nonna che si prende a padellate in testa). Ma partire da una “situation comedy” e farne un lungometraggio per il cinema non è compito semplice, Ben Younger realizza un prodotto tutto sommato gradevole, coadiuvato da una buona performance degli attori.
di Alessio Sperati