Un film nel quale i sentimenti si vedono e si sentono andrebbe evitato come la peste. Troppo facile, anche se in questo caso le interpreti sono egregie e la regia diligente. Un certo cinema francese ha come sfondo principale la città di Parigi, l’algida ed elegante metropoli o la provincia profondissima, dove il tempo sembra non passare mai. Anche le trame sembrano di ordinaria amministrazione: in questo caso Claire (Lola Naymark) ha diciassette anni, lunghi e ricci capelli rossi; lavora in un piccolo supermercato nella campagna francese. La ragazza ha un segreto, che vuole mantenere tale: quando scopre di essere incinta, lascia con una scusa l’impiego e va via dalla casa dei genitori, piccoli proprietari terrieri. La sua intenzione è di portare a termine la gravidanza e di dare il figlio in adozione. Si adatta a vivere come può, dormendo e mangiando dove capita. Finché trova lavoro come apprendista dalla signora Mélikian (Ariane Ascaride), una vedova di origine armena che ricama tessuti destinati all’alta moda parigina, che ha perduto da poco un figlio.
Il tempo è scandito dagli sguardi di due donne ferite, ma pronte a riprendersi la vita violata. Al debutto nel lungometraggio, Eléonore Faucher ha ottenuto parecchi riconoscimenti: il Grand Prix della “Semaine de la Critique” nell’edizione 2004 del Festival di Cannes, il premio France Cinéma e il premio Miglior opera prima del Sindacato dei Critici francesi. E se non si tiene conto del consueto nazionalismo anche un po’ ridicolo d’oltralpe ci sta. Intendiamoci: c’è sempre di peggio, soprattutto nel panorama italiano che fa coincidere l’inizio dalle vacanze scolastiche con la fine di un qualsiasi ordine di distribuzione, a colpi di quindici nuovi film a settimana di media nel solo mese di giugno, tra scarti di magazzino e opere appena decorose. In questo caso c’è ancora la sensazione che il film non sia solo un impiccio di cui liberarsi alla svelta, ma l’eccessivo lirismo esistenziale, tra malesseri piccoli e grandi e sguardi carichi di effetto non portano ad un eccessivo entusiasmo. Sarà anche il mutismo delle due attrici, che parlano pochissimo, cosa cui non siamo abituati con le donne di Francia a rendere indigeribile il tutto. L’asciuttezza più lirismo, uguale altalena tra compiacimento e umanissima noia.
di Vincenzo Mazzaccaro