“Ho attraversato tutti gli oceani del mondo per capire che non posso vivere senza di te”: questa frase testimonia l’insistita matrice letteraria dei dialoghi dell’ultimo film di Bigas Luna, storia di amori, ritorni e impulsi corporei, in cui le parole di testi celebri quali l’Iliade, l’Odissea e l’Eneide fanno da sfondo al racconto, servono a scatenare voglie irrefrenabili e desideri sopiti. Il paesaggio marino, fatto di trasparenze, riflessi, increspature, serve al regista per incastonare le tormentate passioni dei tre protagonisti del film: innumerevoli, infatti, si susseguono le immagini di piscine, laghi, mari e fondali azzurri, simbolo delle tempeste ormonali e sentimentali che sconvolgono l’esistenza dei personaggi e della tranquilla comunità spagnola dove essi vivono. Partendo dal classico intreccio lui, lei e l’altro, Bigas Luna realizza una vera e propria descrizione degli effetti devastanti che l’amore può avere su due persone realmente innamorate: in questo senso il sesso è visto come qualcosa di liberatorio e animalesco, una via di fuga dalla realtà esterna; non è un caso che la protagonista femminile (Leonor Watling), dopo aver ritrovato il marito (Jordi Mollà), la cui presunta morte l’aveva spinta a risposarsi, decide di intrattenere con lui una relazione basata esclusivamente sul sesso, come se questo fosse per lei l’unico modo di evadere dalle circostanze esterne che l’opprimono e la distruggono psicologicamente. Tuttavia Bigas Luna non riesce ad evitare tutti gli stereotipi che accompagnano un racconto del genere, cadendo spesso nel banale o nel ridicolo involontario; di sicuro si conferma, come già nei suoi precedenti film, regista abile nel riprendere i corpi degli attori, il loro intrecciarsi in teneri abbracci o in focosi congressi carnali. Ma ciò non basta per sostenere la struttura di un film intero, per cui Son De Mar rimane irrisolto, esteticamente abbastanza intrigante ma vuoto nei contenuti e sul piano narrativo-strutturale, superiore senza dubbio a Volaverunt (1999) o a L’immagine del desiderio (1997) e a Bambola (1996), ma ben lontano dall’allegra sensualità e fisicità tipicamente spagnole delle opere precedenti del regista, in particolare di Prosciutto prosciutto (1992) e Uova d’oro (1993).
di Simone Carletti