Chi dice che i musei sono luoghi noiosi e un po’ sinistri dove l’arte e la storia si lasciano osservare immobili ed inanimati? Proviamo a scardinare anche questo ultimo luogo comune. Basta usare un minimo di illogica fantasia, una parte di sogno infantile, un guardiano notturno come Ben Stiller particolarmente adatto alla situazione ed il gioco è fatto. L’inverosimile diventa possibile. Le sale del Museo di Storia Naturale di New York, ad esempio, perdono la loro misteriosa compostezza per trasformarsi in un animato centro di ritrovo in cui un Teddy Roosevelt “redivivo” scorrazza sul suo cavallo accanto a Rexy (T-Rex), un inaspettato cucciolone preistorico da riporto. Tutto questo e molto di più accade in Una notte al museo, film capace di sbancare il box office alla sua uscita americana ( 24 dicembre 2006) e di occupare ancora la terza posizione dopo ben due mesi di programmazione. Il segreto di tanto successo è da rintracciare sicuramente nella notorietà del libro dell’illustratore Milan Trenc ( un guardiano al suo risveglio non trova più lo scheletro di un gigantesco dinosauro e si accorge di essere circondato da statue che camminano e parlano), ma soprattutto nell’entusiasmo quasi infantile con cui la trasposizione cinematografica è stata affrontata dai suoi realizzatori. Gli sceneggiatori Thomas Lennon e Robert Ben Garant ( creatori della serie Reno 911: Miami) hanno riportato alla luce i sogni di due bambini newyorkesi ( loro stessi) che desideravano nascondersi nelle sale del museo per vedere che cosa accadeva durante la notte. Ispirati dai ricordi d’infanzia hanno cominciato ad interagire con ogni singola statua, costruendo personaggi dalla caratteristiche quanto meno spiccate. Terminata la creazione, questo universo fantastico, è passato nelle mani esperte del regista Shawn Levy famoso per le sue commedie campioni d’incassi ( Mamma ho perso l’aereo, Mrs Doubtfie, Herry Potter e la pietra filosofale, Herry Potter e la camera dei segreti), alla ricerca, secondo sue testuali parole, di “un film più tranquillo”. Dunque, se almeno una volta nella vita avete avuto l’impressione che una statua collocata al centro di un prestigioso museo si muovesse alle vostre spalle o vi seguisse con lo sguardo, questo è il film capace di dar vita ad una fantasia cullata ma mai confessata. Dotato del suo naturale piacere per il ridicolo e l’inverosimile, Ben Stiller, per la prima volta alle prese con una storia dichiaratamente fantastica, si aggira con naturalezza tra le stanze decisamente troppo trafficate. Dopo aver lanciato l’osso a Rexy, portato a termine una seduta analitica con un Attila troppo inferocito a causa di un trauma infantile ed aver opportunamente chiuso le belve, si lascia stuzzicare da un fastidioso esemplare di scimmia cappuccina. Al suo fianco si schierano personaggi del calibro di Teddy Roosevelt ( Robin Williams) innamorato silenzioso dell’indiana Sacajewa, il lillipuziano e litigioso cow boy del Far West ( Owen Willson) sempre pronto a venir alle mani con l’altrettanto piccolo imperatore Ottavio ( esilarante il doppiaggio in romanesco) ed un Cristoforo Colombo che nessuno riconosce ( Pier Francesco Favino). Mentre un giovane faraone dall’improbabile accento oxfordiano si sveglia dal sonno eterno. Certo un mondo improbabile, ma esilarante, capace di mettere un uso massiccio della computer grafica al servizio della fantasia e di un umorismo dai toni ed il ritmo moderno. Anche se accanto a Ben Stiller, padre finalmente riabilitato agli occhi di un figlio troppo spesso deluso, si affianca un trio irresistibile di vecchie glorie hollywoodiane come Dick Van Dyke, Mickey Rooney e Bill Cobbs, momento indimenticabile rimane il festeggiamento finale, in cui gli abitanti del museo si scatenano in un happy hour al ritmo dance di September.
di Tiziana Morganti