Sussurato ritorno per il muscoloso karateka di Bruxelles che, con qualche ruga in più, si ripropone al suo pubblico di “aficionados” con un action-movie pieno di “vandammismi” ma anche di difetti. Cynthia Archer (Lisa King) moglie di Ben (Van Damme) è un’agente dell’INS che, mentre scopre un traffico di immigrazione clandestina di cinesi, si imbatte anche nella piccola Kim (Valerie Tian), figlia di un boss delle triadi. Il temibile killer (Simon Yam), che ha la sgradevole abitudine di tagliare gole, non ha esistato un istante a far fuori la moglie che minacciava di lasciarlo, così come non avrà remore ad uccidere la moglie di Ben, Cynthia, colpevole solo di aver preso sotto la sua custodia la figlia Kim. Il film, che doveva inizialmente essere girato a Montreal da Ringo Lam e che è poi andato nelle mani ben più inesperte di Philippe Martinez (più noto come produttore), è stato interamente realizzato in Sud Africa ed alterna scene d’azione con dimostrazioni di tentativi registici maldestramente collegati (slow motion e arditi tocchi di montaggio). Le pastose scene rallentate di inizio film, quando ci viene presentato l’idilliaco quadretto familiare che deve venire distrutto dal cattivo di turno, sono eccessivamente marcate, come anche i pallidi tentativi di recitazione dell’acrobatico protagonista.
Tuttavia le ambizioni di Martinez si palesano in una ricercata pseudo-classicistica elaborazione del girato, con una fotografia piena di ombre, con visi e ambienti mutilati dalla luce di campo e con scene di lotta volutamente veloci e distribuite equamente nella seconda parte del film. Da salvare l’intensa e convincente prestazione di Simon Yan (Sun Quan) che non solo merita il primato recitativo in questo film, ma nel duello finale a suon di calci non sfigura affatto con il mitico Jean-Claude. Tuttavia dopo film come Kill Bill, Man on Fire e The Punisher – solo per citare i più recenti – possiamo notare come il tema della vendetta sia piuttosto inflazionato e sia altresì molto difficile dire qualcosa di più sull’argomento. Ecco dunque che gli intenti di Martinez si devono necessariamente spostare sul visivo, vista la palese precarietà della storia, attraverso uno stile da videoclip che da una parte tende la mano a John Woo, e dall’altra recupera un poliziesco noir. In entrambi i casi si tratta naturalmente di pallidi tentativi, anche considerando che Martinez è solo alla sua seconda regia dopo una carriera da produttore e si sarebbe potuto limitare a girare il suo film in maniera ben più scolastica. Comunque gli amanti del ben noto Van Damme non si diano per vinti ai primi venti minuti di film. Se vorrete corse in auto, sparatorie, calci e pugni, non abbiate paura, Wake of Death, alla lunga, non vi darà altro che questo.
di Alessio Sperati