Al nuovo film della Disney, dedicato all’orsetto color miele, il cinema non può che riempirsi di bambini. “Cuccioli d’uomo” di varie età che rispondono quasi per osmosi alle espressioni dei musetti dei personaggi sullo schermo: batticuore quando si sente parlare dei terribili Efelanti che, con le loro urla e le gigantesche orme che lasciano, terrorizzano il Bosco dei Cento Acri e le creature che lo popolano; qualche salto sulla sedia guardando ombre minacciose e sentendo le porte che si aprono cigolando rivelando antri bui e minacciosi; ma anche grandi sorrisi e ridolini di gioia insieme a Roo ed al suo nuovo amico Effy, impegnati a canticchiare, a cimentarsi in maldestre danze e a rincorrere nuvole per gioco. Gli steccati in questione sono quelli che Winnie Pooh e i suoi amici, più o meno coraggiosamente, saltano, comicamente equipaggiati per la spedizione contro le misteriose creature del bosco limitrofo; sono anche, soprattutto, le barriere culturali che Roo, il protagonista, oltrepassa: tra quel che gli raccontano gli adulti sugli spaventosi Efelanti e la conoscenza che lui fa di Effy, cucciolo di Efelante dolce, innocente, paffutello ed esuberante, che vuole solo giocare, cantare e divertirsi, proprio come lui.
Ad arricchire la storia di significati c’è anche la considerazione di un desiderio condiviso dalla maggior parte dei bambini, cioè crescere: il cucciolo di canguro Roo, ritenuto troppo piccolo per la spedizione, parte da solo a caccia del mostro; il piccolo Effy, dal canto suo, sa bene che si accorgerà di essere diventato adulto quando riuscirà a barrire davvero, invece di emettere un gridolino che si perde di lì a pochi metri e che gli lascia il singhiozzo. Inoltre, vi si trova l’analisi di alcune caratteristiche del mondo adulto, come la capacità di ammantare di sinistro e spaventoso ciò che non si conosce e che è diverso da sé, che porta a condurre spedizioni di caccia al nemico, a costruire trappole, questo non può ricordarci il recente The Village di Shyamalan. Accanto a ciò trova posto, per fortuna, l’importanza della figura materna, cioè di colei che aspetta con ansia e si preoccupa per il ritorno dei propri piccoli, che cerca di ascoltare le motivazioni di ciascuno, ma soprattutto alla quale poter tornare per fare il pieno di conforto e sicurezza. Una favola per bambini, quindi?! Si, sicuramente, per la linearità e semplicità dei personaggi e del loro linguaggio, che però non può che insegnare qualcosa anche ad un pubblico disincantatamene adulto!
di Caterina Pacenza