Il complesso rapporto madre-figlia e la potenza salvifica della musica sono al centro del delicato telefilm La bambina che non voleva cantare di Costanza Quatriglio, in onda in prima serata il 10 marzo su Rai 1, liberamente ispirato al romanzo autobiografico Il mio cuore umano di Nada Malanima, cui dà vita e voce la giovane Tecla Insolia.
Carolina Crescentini e Sergio Albelli sono i genitori della cantante toscana resa celebre negli anni Sessanta dal Festival di Sanremo, Paola Minaccioni è la suora che per prima ne scoprì le speciali doti canore, Paolo Calabresi è il malinconico maestro di musica che l’avviò alla decennale fortunata carriera, Nunzia Schiano la determinata nonna Mora.
Una favola universale sulle paure di abbandono tipiche dell’infanzia, sui sentimenti, sui nodi perennemente da sciogliere, sulla crescita che non celebra la cantante ma il suo interiore, sul riscatto. “Un racconto molto travagliato, un personaggio complesso ma leggero, che mi somiglia molto nel modo di osservare il mondo – racconta Insolia -. Nada pensa che cantare sia una cura per la madre depressa, nel percorso capisce che il canto è anche il modo per esprimere la propria rabbia, il suo dolore”.
Uno scenario concreto, non patinato, molto femminile. Attraverso le canzoni si viaggia nella storia di quegli anni. Ambientato nella campagna toscana dei primi anni Sessanta dove viveva la piccola Nada (ma girato nel Lazio) il film mostra il suo cuore fragile, convinta che solo la sua voce prodigiosa ha il potere di far guarire la mamma. Un grande talento che sopravvivrà persino alle sue stesse paure e tutti scopriranno presto la voce unica di quella bambina che non voleva cantare.
“Dopo aver realizzato nel 2009 il film documentario Il mio cuore umano, ispirato al racconto autobiografico di Nada – spiega Qatriglio -, mi sono innamorata subito di questa bambina dalla voce prodigiosa con il cuore ferito per l’instabilità emotiva della madre e ho pensato a un film che unisse la favola con la musica, personaggi lievi e vitali insieme con i lati più oscuri dell’animo umano, la potenza del talento e della vocazione con le paure più segrete dell’infanzia: il timore dell’abbandono, di non essere amati abbastanza, della morte dei genitori. Nada canta per la mamma Viviana dedicando a lei ogni parola delle canzoni d’amore che il maestro Leonildo le fa conoscere” .
Il film, continua la regista, è anche un viaggio nella canzone italiana di quegli anni. Mina, Vanoni, Paoli, Claudio Villa: “la musica ci ricorda chi siamo e da dove veniamo, facendoci immergere nella nostra tradizione e nel nostro immaginario. Così, se il racconto dell’infanzia ha il sapore del ricordo, nell’adolescenza, man mano che la storia procede, sentiamo avvicinarsi la contemporaneità con stupore ed emozione per un mondo che è tutto da scoprire”.