“Il gioco, l’amore, la vita. Per me il pallone è questo, e vorrei che non finisse mai”. Queste parole sono il mantra della vita di Francesco Totti, protagonista di Speravo de morì prima, la nuova serie dramedy in sei episodi sul mitico calciatore della Roma targata Sky Original, diretta da Luca Ribuoli in onda dal 19 marzo su Sky Atlantic e Now Tv, tratta dal libro autobiografico Un capitano.
Pietro Castellitto si cala nei panni del leggendario numero 10, nell’ultimo anno e mezzo di carriera dell’ex capitano della Roma, concentrandosi sulla fine del suo lungo ed entusiasmante percorso con la maglia giallorossa (rimasta sempre la stessa per 27 anni): dal ritorno di Luciano Spalletti sulla panchina della squadra fino al più struggente addio al pallone della storia del calcio.
Al suo fianco, nei panni della moglie Ilary, Greta Scarano; Monica Guerritore è la mitica mamma Fiorella, Giorgio Colangeli è il papà Enzo (da poco scomparso), Gianmarco Tognazzi è Luciano Spalletti. Nel cast anche Primo Reggiani che interpreta Giancarlo Pantano, l’amico storico del Capitano, Alessandro Bardani è suo cugino Angelo Marrozzini, Gabriel Montesi e Marco Rossetti interpretano rispettivamente Antonio Cassano e Daniele De Rossi, Massimo De Santis è Vito Scala, Eugenia Costantini e Federico Tocci vestono i panni dei genitori di Totti da giovani.
Una biopic series che coglie i valori di un vero eroe sportivo, ma con i toni leggeri dell’intrattenimento, unendo l’epica sportiva del fuoriclasse del calcio italiano e mondiale (raccontato anche attraverso le immagini d’archivio dei momenti più esaltanti della sua carriera) alla vita privata di un uomo coraggioso e semplice, autoironico e romanissimo, legato da sempre alla sua città e al calcio.
Gloria e trionfi sportivi, ma anche le ansie, le paure, le guasconate dell’uomo dietro al campione, nel momento che prelude al suo ritiro dal calcio giocato. È la fase più difficile di una carriera unica, in cui l’ idolo di milioni di persone deve fare i conti con l’inizio della fine, con l’inesorabile scorrere del tempo e con la consapevolezza che niente dura per sempre. Un dramma personale che si fa dramma collettivo: quello di un’intera città che di Totti ha fatto la sua bandiera, città che si ritroverà commossa ad acclamare il proprio gladiatore nel più struggente addio al pallone della storia del calcio, solo quattro anni fa.
“Tutto a un certo punto finisce – esordisce Totti nel film -. Fine è una parola schifosa, odiosa, si nasconde in tutte le cose, come un sorcio, e quando ti sembra lontana mica ce pensi, poi all’improvviso ti accorgi che è là, a due passi, come un agguato. Ed è così vicina la fine che basta un niente perché te freghi pure quel po’ de tempo che te resta. Na spintarella, un movimento sbagliato e sei fatto – racconta -. E’ quello che m’è successo: un allungo un po’ troppo lungo e n’ a bella lesione, proprio il giorno del mio trentanovesimo compleanno. Può essere tutto finito”.
C’è il ritorno di Spalletti come allenatore della Roma in crisi, il loro rapporto difficile, Totti in panchina, e poi non convocato: “Ormai sta a fare l’attore” dice il mister contestato. La rivincita del calciatore ai Mondiali con un rigore determinante.
“Ho voluto creare una maschera che lo ricordasse e lo stupisse- spiega Castellitto -. E’ come l’inchiostro per la penna, la camera d’aria per il pallone. Il calcio non c’è se Totti non c’è”.
“E’ una serie simpatica, emozionante – dice Totti -.Nel film ho visto cose del mio carattere che non conoscevo”.