La Rai toglie la polvere dal nostro Risorgimento e la retorica che l’ha reso noioso agli studenti, rendendolo vivo, nel racconto dell’ appassionata vita del poco conosciuto Mameli, il ragazzo che sognò l’Italia, in onda il 12 e 13 febbraio in prima serata su Rai 1 diretta da Luca Lucini e Ago Panini. La miniserie, prodotta da Pepito con Rai Fiction, racconta due anni di passioni, amori, lotte, sotterfugi, composizioni poetiche, incontri e dibattiti politici, amicizie, tradimenti e spie, ma soprattutto di crescita umana, elaborazione di ferite profonde e interrogativi non solo politici, ma anche esistenziali. A rappresentarli un nutrito cast di cui fanno parte, tra gli altri, Riccardo De Rinaldis Santorelli, Amedeo Gullà, Neri Marcorè, Isabella Briganti, Barbara Venturato, Lucia Mascino, Luca Ward, Sebastiano Somma, Chiara Celotto, Gianluca Zaccaria, Giovanni Crozza Signoris.
E’ il 1847 il ventenne genovese Goffredo Mameli scrive le parole dell’Inno degli Italiani, il suo amico Michele Novaro la musica e quello che sembrava avere vita provvisoria diventa per sempre il nostro inno nazionale. Mameli, poeta ed eroe del Risorgimento, muore nel 1849 a Roma dopo essere stato ferito nel difendere la città assediata dai Francesi, al Gianicolo, dove è sepolto. Si può considerare la prima popstar della storia che con il suo esempio ha saputo smuovere gli animi del popolo. Con lui partono da Genova, trecento volontari verso Milano in supporto delle Cinque giornate del ‘48. E sempre con lui salpano altri cinquecento patrioti alla difesa di Roma nel ‘49. In lui i giovani riconoscevano l’ardore puro di chi sa amare fino in fondo, come testimoniano le due storie sentimentali che incorniciano la sua vita pubblica. In mezzo scorre la vita e, insieme, la storia: dalla composizione dell’Inno alla grande manifestazione dell’Oregina, quando per la prima volta l’Inno fu cantato da più di trentamila patrioti; l’incontro e l’amicizia con un altro grande genovese, Nino Bixio; la prima Guerra d’Indipendenza; la Repubblica Romana, all’interno della quale Goffredo è il pupillo di Giuseppe Garibaldi e di Giuseppe Mazzini.
Gli anni tra il 1847 e il 1849 servirono da laboratorio politico, creativo, sociale, a preparare l’Unità d’Italia, che avvenne dodici anni dopo, nel 1861. Goffredo e i suoi amici Nino Bixio, Gerolamo Boccardo, Stefano Castagnola erano ragazzi tra i diciotto e i ventidue anni. “Li abbiamo fatti scendere dai pedistalli, dalle targhe delle vie, dai nomi delle scuole, per raccontarli vivi, pieni di dubbi, di energia, di voglia di vivere, come lo sono i loro coetanei di oggi – spiegano i registi -. Hanno rapporti burrascosi, si oppongono al potere ufficiale, all’autorità costituita. E cercano una loro via, fatta di parole e canzoni, di “scherzi” e “flashmob”, di iniziative provocatorie e interventi sul campo. Nel nostro racconto non poteva mancare l’anima romantica di un giovane in divenire, che scrive rime, come potrebbe essere un suo contemporaneo che si diverte a sperimentare con le parole. Un giovane borghese, quasi nobile, che grazie all’incontro con anime a lui affini, si trova naturalmente a unire le sue due passioni: le parole e la politica, fino a dare vita al nostro inno nazionale. Un Canto che riassume in sé tutti i motivi per cui è necessario ribellarsi, sollevarsi e unirsi”.
Il Canto degli Italiani, prima ancora di diventare Inno d’Italia, è un successo popolare: viaggia da Nord a Sud, unisce lingue e dialetti, infiamma i cuori e spinge all’azione un Paese che ancora Paese non era. Diventa “virale” rapidissimamente, con un passaparola, un testo ricopiato su un foglietto, precedendo, e poi sopravvivendo, alla figura umana di Goffredo Mameli.