Alain Delon ha scelto di vivere nel silenzio l’ultima parte della sua vita, lontano dalle scene e, dopo la morte, nessun tributo nazionale. 88 anni di vita vissuta intensamente tra piccoli e grandi amori, separazioni e qualche rimpianto. Rendere il giusto tributo a un gigante si può, con la stessa lingua che ha usato lui per comunicare le sue emozioni che, come ha scritto nella lettera alla sua “bambolina” Romy, ti restano dentro anche quando lasci il set, quando vivere la tua vita diventa sempre più difficile.
Rendere il giusto tributo a uno come Alain Delon si può fare rivivendo una delle sue più intense interpretazioni, quella del poetico professor Daniele Dominici ne La prima notte di quiete di Valerio Zurlini, film del 1972 interpretato oltre che dal francese più amato del cinema italiano, da Giancarlo Giannini, Lea Massari, Alida Valli, Sonia Petrova e Aldalberto Maria Merli.
Valerio Zurlini, regista tra l’altro de La ragazza con la valigia con Claudia Cardinale, scava in maniera colta e distinta nell’animo umano con la precisione di un bisturi, tracciando un ritratto disperato di un uomo in bilico tra la vita e la morte spirituale. In questo modo si crea un disegno poetico dove la malinconia diventa la cifra stilistica dominante, sostenuta da una narrazione che non cede mai al sentimentalismo, ma rimane sempre sospesa tra l’elegia e il dramma esistenziale.
Ambientato in una Rimini spoglia e nebbiosa, il film racconta la storia di Daniele Dominici (Alain Delon), un professore di lettere che arriva in una cittadina della provincia romagnola per insegnare in un liceo. Apparentemente distaccato e disilluso, Daniele è un personaggio complesso, carico di una sofferenza interiore che si esprime più in silenzi che in parole. Viene attratto da una delle sue studentesse, Vanina Abati (Sonia Petrova) che, proprio come lui, sembra oppressa da un macigno di sofferenza e solitudine. E Zurlini, abile regista dell’introspezione, usa volti imperscrutabili per trasmettere tutto il peso di un passato ingombrante.
La prima notte di quiete è un film dominato da un senso di inevitabilità tragica: Daniele, che cerca di sfuggire alla sua desolazione esistenziale attraverso la relazione con la giovane e fragile Vanina è un uomo già sconfitto in partenza. Il professore confessa a quello che diventa il suo migliore amico interpretato da un trentenne Giancarlo Giannini, che la prima notte di quiete è quella dopo la morte, la prima notte senza pensieri, senza sogni.
La sua autodistruzione sembra l’unica via di fuga da un mondo che non gli offre più nulla. La fotografia di Dario Di Palma riesce a rendere palpabile la sensazione di vuoto e freddezza che permea l’esistenza dei personaggi. La Rimini invernale, con le sue spiagge deserte e le sue strade desolate, diventa il simbolo di una condizione umana di solitudine e alienazione. In fondo cosa c’è di più malinconico di una località di mare in pieno inverno?
C’è tanto di Delon in questo film, è come se avesse lasciato la sua anima in questa pellicola, perché La prima notte di quiete è anche un film sul fallimento dell’amore e delle relazioni umane e lui, abbandonato dal padre all’età di quattro anni, adottato e poi affidato a un collegio di suore, ha sempre avuto difficoltà a intessere relazioni stabili. Così la storia tra Daniele e Vanina è destinata a naufragare fin dall’inizio, poiché entrambi i personaggi sono prigionieri delle loro paure e delle loro insicurezze. Zurlini non concede redenzione ai suoi personaggi, evita ogni facile via d’uscita narrativa; qui nessuno vivrà felice e contento.
La prima notte di quiete non è solo un ritratto efficace del male di vivere, ma anche una testimonianza dell’abilità di Zurlini nel trasformare il dolore in arte, un cinema che sa parlare con sincerità della condizione umana senza mai scadere nella retorica. Mi spiace dirlo, ma film così non se ne fanno più.
di Alessio Sperati