di Gregory David Roberts, Neri Pozza 2005.
Shantaram è una di quelle opere che si presentano con la forza di un fiume in piena, capace di travolgere il lettore e trasportarlo in un mondo altro, vibrante e misterioso. La storia si dipana tra le vie polverose e caotiche di Bombay, città che assume qui un ruolo quasi mitologico, con i suoi abitanti che sembrano personaggi di un mondo fantasy inseriti in un’ambientazione che a tratti sfoga la sua brutale quotidianità.
Nel 1978, Roberts viene condannato a 19 anni di reclusione per alcune rapine commesse quando era tossicodipendente, ma nel luglio del 1980 evade dal carcere di massima sicurezza dello Stato di Victoria in pieno giorno, divenendo da quel momento uno degli uomini più ricercati dell’Australia per tutto il decennio successivo. Shantaram è in parte la sua storia.
«Sono stato un rivoluzionario che ha soffocato i propri ideali nell’eroina, un filosofo che ha smarrito l’integrità nel crimine, un poeta che ha perso l’anima in un carcere di massima sicurezza», si descrive il protagonista all’inizio del racconto. «Mi hanno messo in catene in tre continenti, mi hanno preso a botte, bastonato, privato del cibo. Sono andato in guerra. Sono fuggito sotto il fuoco nemico. E sono sopravvissuto mentre altri intorno a me morivano. Uomini quasi sempre migliori di me».
Il protagonista/narratore si chiama Lindsay, un fuggitivo australiano, uomo segnato da un passato di crimini e da un presente in fuga. Per la maggior parte del periodo di latitanza, Lindsay vive a Bombay. Dopo aver conosciuto un uomo del posto, Prabaker, che diventerà il suo miglior amico, organizza una clinica gratuita negli slum, le baraccopoli indiane, in cui impara a conoscere la cultura indiana e le caratteristiche della gente che avrebbe poi finito per amare intensamente. «Dovunque guardassi c’era gente che sorrideva o rideva», leggiamo. Quel mondo lo accoglie, lo adotta e lo definisce “shantaram” che significa “uomo della pace”, e lui farà molto per ricambiare.
Ma Roberts non si limita a raccontarci una storia di redenzione: ci offre un affresco della condizione umana, un’indagine sull’animo di un uomo che cerca di reinventarsi, di trovare un senso in un mondo caotico e crudele. In questo, la narrativa di Shantaram si avvicina alle grandi epopee, quelle che non temono di affrontare i grandi temi dell’esistenza. Quelli che Lin affronta con il suo mentore, il fuorilegge Abdel Khader Khan che prenderà le caratteristiche quasi di una figura paterna. «La verità è che non esistono uomini buoni o cattivi. Sono le azioni a essere buone o cattive. Gli uomini sono soltanto uomini: è quello che fanno o evitano di fare che li guida al bene o al male».
Il romanzo, definito dal suo autore un’autobiografia romanzata, si distingue per la sua prosa ricca e densa, che alterna momenti di lirismo a descrizioni crude e realistiche. Il ritmo è serrato, ma lascia spazio a riflessioni profonde, a dialoghi che sembrano quasi filosofici nella loro essenza. Ciò che colpisce è l’abilità di Roberts nel bilanciare l’avventura con l’introspezione, mantenendo sempre viva l’attenzione del lettore, ma senza rinunciare alla complessità dei temi trattati.
Bombay, con le sue mille contraddizioni, è il palcoscenico perfetto per questa storia. La città è descritta con una tale vividezza che quasi si percepiscono gli odori, i suoni, le luci che ne caratterizzano il volto. Ma è anche un luogo di profondi contrasti, dove la miseria e la ricchezza, la bellezza e la violenza coesistono in un equilibrio precario. Roberts ci guida attraverso questo labirinto con una maestria rara, riuscendo a far emergere, tra le pieghe della narrazione, un profondo senso di umanità. C’è il tentativo di mostrare una cultura lontana in piccoli particolari ricchi di quotidianità, quando ad esempio Lin si rende conto che il suo farsi una doccia all’interno del Grand Hotel Leopold vuol dire per tre lavoranti caricare a mano il catino d’acqua che si trova sulla cima dell’edificio, lui vorrebbe cessare per sempre di lavarsi, ma poi si rende conto che offenderebbe la dignità di quelle persone che gestiscono la loro fatica con orgoglio e partecipazione.
Shantaram è un libro che parla di fuga, ma anche di appartenenza, di perdita e di riscatto. È un’opera che, nonostante la sua mole, si lascia leggere con gusto, riuscendo a mantenere sempre alta la tensione narrativa. Roberts è bravo a seminare intrighi durante il percorso, così da invitarci a proseguire la lettura.
In conclusione, Shantaram è un romanzo che merita di essere letto, non solo per la qualità della scrittura, non professionale ma sincera, ma anche per la capacità di trasportare il lettore in un viaggio emotivo e intellettuale. È un libro che ci ricorda quanto la letteratura possa essere potente, capace di raccontare non solo storie, ma anche di esplorare l’animo umano nelle sue infinite sfumature.