di Han Kang, Adelphi 2019
Dall’autrice Premio Nobel per la Letteratura 2024, il libro vincitore del Man Booker International Prize che l’ha resa nota in tutto il mondo.
«Ho fatto un sogno» dice Yeong-hye, e da quel sogno di sangue e di boschi scuri nasce il suo rifiuto radicale di mangiare, cucinare e servire carne, che la famiglia accoglie dapprima con costernazione e poi con fastidio e rabbia crescenti. È il primo stadio di un distacco in tre atti, un percorso di trascendenza distruttiva che infetta anche coloro che sono vicini alla protagonista, e dalle convenzioni si allarga al desiderio, per abbracciare infine l’ideale di un’estatica dissoluzione nell’indifferenza vegetale.
La scrittura cristallina di Han Kang esplora la conturbante bellezza delle forme di rinuncia più estreme, accompagnando il lettore fra i crepacci che si aprono nell’ordinario quando si inceppa il principio di realtà, proprio come avviene nei sogni più pericolosi.
«È tutt’altro che un’opera ascetica: è un romanzo pieno di sesso ai limiti del consenziente, di atti di alimentazione forzata e purificazione, in altri termini di violenza sessuale e disordini alimentari, mai chiamati per nome nell’universo di Han Kang. Il racconto di Han Kang non è un monito per l’onnivoro, e quello di Yeong-hye verso il “vegetarianesimo” non è un viaggio felice. Astenersi dal mangiare esseri viventi non conduce all’illuminazione. Via via che Yeong-hye si spegne, l’autrice, come una vera divinità, ci lascia a interrogarci su cosa sia meglio, che la protagonista viva o muoia. E da questa domanda ne nasce un’altra, la domanda ultima che non vogliamo davvero affrontare: “Perché, è così terribile morire?”». (The New York Times)