“I nemici non sono quelli che ti sparano dalla trincea di fronte, ma quelli che in trincea ti ci hanno mandato per uccidere altri come te”. Ne è convinto Ermanno Olmi che, per il centenario della Prima Guerra Mondiale, esprime il suo atto di accusa contro quello e ogni altro conflitto nel film Torneranno i prati, nelle sale dal 6 novembre, con una grande proiezione in anteprima il 4 novembre, ricorrenza dell’armistizio, in quasi cento Paesi del mondo.
La pellicola l’ha scritta, diretta e girata tra gennaio e febbraio scorsi, tra mille disagi climatici, tra gli altopiani di Asiago, Vicenza, Dosso di Sopra Val Formica, in Valgiardini fin sulla Cima Larici a quota 1.800 metri, con 20 gradi sotto zero.
L’ottantatreenne regista bergamasco presenta la pellicola alla stampa romana attraverso un video registrato all’ospedale San Raffaele di Milano, dov’è ricoverato per accertamenti su una sospetta broncopolmonite. In sala, a Roma, la figlia di Olmi Elisabetta e Luigi Musini che hanno coprodotto il film con Rai Cinema, lo scrittore Maurizio Zaccaro che ha collaborato alla regia e gli attori Claudio Santamaria, Alessandro Sperduti, Francesco Formichetti, Andrea Di Maria, Camillo Grassi.
“Voglio celebrare il centenario con alcune riflessioni sul tradimento” esordisce Olmi. Si riferisce al grande tradimento compiuto all’inizio del secolo scorso verso milioni di giovani mandati a morire nella Grande Guerra. “Non gli abbiamo spiegato il perché – continua Olmi- e con i morti non si può barare. Celebriamo il centenario con manifestazioni e fanfare, ma prima va sciolto il nodo della vigliaccheria. Bisogna uscire da quella fascia neutrale che è già un tradimento. Dobbiamo quanto meno chiedere loro scusa”.
Parole dure, come duro e crudo e bellissimo, carico di poesia, è il film su quell’immenso sacrificio umano dedicato da Olmi al padre che, quand’era bambino, gli raccontava della grande guerra dov’era stato soldato.
Una poesia che scaturisce da ogni sguardo di quei giovani volti sofferenti e impauriti, asserragliati nelle gelide trincee del fronte di Nord Est, scavate sotto metri di neve, traballanti sotto le cannonate, in attesa di ordini superiori che li avrebbero mandati al macello. “Ai ragazzi si diceva di mostrare l’amor patrio. Così le alte e arroganti aristocrazie dominanti sacrificavano milioni di vite – spiega il regista -. I grandi, tragici accadimenti dei conflitti sottolineano sempre il potere per pochi. Un tradimento continuo nei confronti dei più deboli. L’amor patrio ormai si è disciolto nella storia. Quei giovani ci avevano creduto per poi constatare che era solo una grande truffa”.
In alcune immagini registrate nel back stage Olmi spiega: “Il film lo facciamo noi ma anche gli elementi esterni. Ho tolto tutto ciò che non mi dà emozione, come la guerra, che sembrava sepolta sotto la neve ma riemerge al primo colpo di cannone”. Agli attori dice: “Il regista dà le indicazioni, voi metteteci la poesia”. E sotto la sua sapiente guida loro ne hanno tirata fuori tanta. “Ermanno è illuminato –racconta Santamaria -, è come lavorare col Dalai Lama. Non voleva un film sulla guerra ma sul dolore, e noi dovevamo farlo sentire. Era come se davvero dovessimo morire da un momento all’altro, ogni sguardo doveva avere un grande valore”. “Olmi mi ha fatto vivere un’esperienza di vita unica – spiega Formichetti-. Nel film dovevo disobbedire agli ordini, lui mi ha guidato con forza e dolcezza sulla strada della rassegnazione, del dolore, non ho mai provato tanta emozione”. “Ho pianto dall’inizio delle riprese alla visione del film – confessa Di Maria, che nel film canta strazianti canzoni napoletane sul tetto della trincea -. E’ difficile spiegare la poesia che Ermanno ha saputo tirar fuori. Mi ha detto ‘tu sei l’unico che vince la guerra’. Il canto è il modello ideale di pace, condiviso tra tutte le trincee. Le canzoni le ho registrate di notte, sulla cima della montagna, con le stelle in bocca. Se il mondo ricominciasse a cantare canzoni napoletane, mi ha detto Olmi, tutto sarebbe migliore”. “Mi ha trascinato in quel posto che era emozione pure – aggiunge Sperduti – alla fine ero stremato”. Grassi, al secondo film con Olmi, racconta: “Non ha bisogno di attori ma di anime, che si mettano a disposizione di questo grande direttore d’orchestra. Lui traccia la strada, bisogna solo percorrerla”.
“Abbiamo sfruttato il progresso tecnologico per produrre morte” e la triste constatazione dell’autore. Il riscatto? Sta in una frase di Camus, che il Maestro condivide appieno: “Se vuoi che un pensiero cambi il mondo, prima devi cambiare te stesso”.