Boccaccio non era uno sceneggiatore. Aveva sempre un’idea forte, esponeva il prima velocemente per arrivare poi subito al nocciolo, una grossa difficoltà per chi fa cinema, sostengono Paolo e Vittorio Taviani. I due registi toscani ultraottantenni dopo Cesare deve morire, girato nel 2012 coi carcerati di Rebibbia e vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino, fanno ora incetta del meglio tra i nostri attori e li calano nel ‘300 per raccontare, a modo loro, cinque novelle liberamente ispirate al Decameron nel film Meraviglioso Boccaccio, dal 26 febbraio nelle sale in un centinaio di copie.
Hanno girato tra i suggestivi castelli toscani della Val d’Orcia circondati da splendidi paesaggi, anch’essi protagonisti della pellicola accanto agli attori Lello Arena, Vittoria Puccini, Kasja Smutniak, Riccardo Scamarcio, Kim Rossi Stuart, Carolina Crescentini, Paola Cortellesi, Jasmine Trinca, Michele Riondino, Flavio Parenti e Josafat Vagni. Al loro fianco i giovani “novellatori” Melissa Anna Bartolini, Eugenia Costantini, Miriam Dalmazio, Camilla Diana, Niccolò Diana, Fabrizio Falco, Beatrice Fedi, Ilaria Giachi, Barbara Giordano, Rosabell Laurenti Sellers.
I due maestri-poeti hanno scelto come sfondo la Firenze trecentesca colpita dalla peste, che spinge dieci giovani a rifugiarsi in campagna e a raccontarsi brevi novelle con protagonista l’amore, nelle sue innumerevoli sfumature. Sarà l’ antidoto alla paura e alle incertezze dell’epoca.
Perché Boccaccio oggi?
Noi siamo toscani, le sue novelle hanno accompagnato la nostra infanzia – spiega Paolo Taviani -. Ultimamente, parlando degli orrori del momento, migranti travolti dalle onde, estremisti che sgozzano altri esseri umani e del clima che c’è in Italia, fatto di crisi, dolore, sofferenza soprattutto tra i giovani, abbiamo pensato che questa è la peste d’oggi, è tornata, sotto altre forme e non è mai stata rappresentata al cinema. Abbiamo aggiunto i ricordi delle nostre nonne alle prese con la spagnola e costruito questa peste da cui escono 7 ragazze che decidono di sopravvivere e vanno via da Firenze e si aiutano col novellare.
Come avete scelto le cinque novelle?
Ne avevamo in mente molte – precisa Vittorio Taviani -. abbiamo fuso tre pulsioni dell’amore umano: la voglia di vivere, ciò che l’uomo può fare di bello e di brutto, il senso dell’amore che muove il mondo. Abbiamo pensato di dare a Calandrino la possibilità di diventare invisibile. Se fosse possibile anche a noi cosa faremmo? Cose onorevoli e orribili perché siamo tutti in parte ‘porconi’. Ogni novella smuove qualcosa dentro di noi.
Il film sottolinea anche uno scontro generazionale
I giovani da sempre, ma oggi in particolare, si lasciano andare a fare il morto a galla sulla palude che è diventata la nostra società – continua Vittorio -. E’ difficile che gli adulti ti vengano incontro, i giovani ci accusano di non aver dato loro un mondo giusto. Da questa amarezza nasce il film.
Come si combatte la peste contemporanea?
Viene dalle stragi, da guerre ingiuste e terribili, vicine e in tutto il mondo – spiega Paolo-. L’ingiustizia sociale in ogni settore è la nostra terribile pestilenza. La reazione a questo orrore viene dalla fantasia. Nel nostro film Cesare deve morire gli ergastolani che vivono nella sofferenza attraverso l’arte per poco erano liberi. In questo film i ragazzi comunicando tra loro vincono la paura.
Il paesaggio è particolarmente suggestivo
E’ stata una ricerca molto laboriosa – ricorda Paolo -.Anche per noi toscani è stata una scoperta, un mondo nuovo, soprattutto la Val d’Orcia, i castelli così ben tenuti.
Come toscani abbiamo sentito il desiderio, il bisogno di catturarne il cielo, i colori della nostra terra – aggiunge Vittorio -. La natura e la storia si sono incontrati nel film, si sono dati una mano, una cosa che oggi manca nel mondo.