Un modo diverso di fare un film, attraverso interviste a gente comune che per la regista Eleonora Danco sono delle vere e proprie performances. Come protagonisti del suo primo lungometraggio N-Capace, premiato con due menzioni speciale al recente Torino film Festival, nelle sale dal 19 marzo, non ha voluto attori, ma persone incontrate per strada, con in primo piano suo padre, ai quali pone provocatoriamente domande talvolta imbarazzanti, su sesso, aspirazioni, azioni e sentimenti del quotidiano, scavando nel loro passato, mettendolo a confronto col presente.
Ti aspetti il classico documentario sui punti di vista generazionali, invece ti trovi catapultato in un film che ti suscita un bel ventaglio di emozioni mentre scorrono le confidenze, anche intime, di vecchi e ragazzi, profonde, esilaranti, commoventi. A incalzarli l’ autrice, che si aggira tra campagna, mare e città, in pigiama, con al seguito un letto, dal quale fa il punto sul rapporto tra tempo e memoria, per lei motivo di profondo struggimento.
Altra protagonista determinante la città di Terracina, sul litorale laziale, dove ha vissuto bambina e dove ancora vive l’anziano padre, luogo che per lei rappresenta il sogno, l’ incubo, i ricordi. Anche la musica elettronica del maestro Markus Acher è determinante nell’ esaltare la tensione e l’emozione che lei voleva creare nel film. Il titolo rappresenta la condizione umana, fatta di capacità e incapacità. I soggetti della storia galleggiano nella vita con grande vitalità, spesso vittime dello stress, in attesa, chi di crescere, chi di morire.
Danco finora è stata autrice, regista, attrice, performer soprattutto di teatro. Un teatro fisico, d’impatto e tensione, dove corpo e testo si fondono in un’unica espressione. Per le immagini del film si è ispirata alla pittura di De Chirico, Giotto, al cinema di Bunuel, al surrealismo. Le immagini, spiega, sono l’inconscio dei personaggi, della realtà che sta trattando. La natura è un elemento dominante. Il legame tra Terracina e Roma è tra l’infanzia e la vita adulta, la stessa dimensione che aveva nell’adolescenza. E questo era il limite che voleva trattare.