Mentre il mondo si ammala di calcio c’è anche chi di calcio guarisce. Lo dimostra il regista Volfango De Biasi che sta girando a Roma il documentario Crazy for football. Protagonisti dodici pazienti psichiatrici tra i 23 e i 50 anni, uno psichiatra come direttore sportivo, un pugile ex campione del mondo come preparatore atletico. Un film sulla terapia col pallone, in cui le storie dei ragazzi, la lotta contro l’emarginazione sociale e il lavoro degli psichiatri verranno raccontati attraverso il tentativo della squadra italiana di vincere a marzo la Coppa del Mondo di calcio in Giappone.
“Fare questo film per me rappresenta un impegno umano, civile e personale – spiega il regista degli ultimi, fortunati cinepanettoni prodotti da De Laurentiis -. Desidero affrontare insieme ai protagonisti, proprio come una squadra e con leggerezza, un tema che reputo importante: l’idea che il calcio possa guarire e a volte persino salvare la vita, restituire la speranza e la voglia di sognare”. “Vedremo accadere miracoli: persone che hanno la fobia del contatto con gli altri che si sciolgono nell’abbraccio dei compagni” sostiene il dottor Santo Rullo, presidente dell’Associazione Italiana di Psichiatria Sociale.
Il deprecabile e sempre più inaccettabile silenzio delle istituzioni non ha fermato i nostri eroici volontari che stanno raccogliendo fondi attraverso il sito www.stradeonlus.it (occorrono circa 30 milioni) per realizzare il loro sogno: portare la loro Nazionale di calcio a Osaka, sfidare Perù, Corea del Sud e i fortissimi padroni di casa, guadagnare l’ambita coppa e tornare in Italia vincitori.
Ad allenarli il pugile ex campione del mondo Vincenzo Cantatore: “Li faremo sudare tantissimo, giocando e ridendo ma anche prendendo tutto molto seriamente, perché li tratteremo come veri giocatori – dice Cantatore -. Vogliamo rendere i ragazzi più sicuri, far loro recuperare la stima in se stessi, li sottopongo a sforzi incredibili ma andremo in Giappone per vincere”.
Nel 2004 De Biasi e Francesco Trento realizzarono Matti per il calcio, un piccolo documentario autoprodotto che ha portato gli psichiatri di tutto il mondo a utilizzarlo per portare avanti la ricerca sull’importanza dello sport nella riabilitazione. È accaduto così un piccolo miracolo: dalle 30-40 squadre esistenti dieci anni fa, si è passati oggi a migliaia e migliaia di squadre di pazienti psichiatrici nei cinque continenti, in campionati che molto spesso si chiamano proprio “Matti per il calcio” e il Giappone è oggi all’avanguardia con 600 squadre, quasi tutte finanziate da società sportive di serie A. Cosa che non avviene nell’Italia calcistica che pensa solo all’arricchimento personale, spesso fuori dalle regole. Per non parlare del silenzio sempre più assordante proveniente dalla politica.
“Quasi quarant’anni fa abbiamo chiuso i manicomi ma rimane aperta una battaglia fondamentale: reinserire le persone con disagio mentale in un tessuto sociale che tende ad isolarle e stigmatizzarle – spiega Rullo -. L’incontro sul campo di calcio garantisce un riavvicinamento tra il paziente e il suo quartiere, abbattendo le differenze tra i ‘sani’ e i ‘malati’, un primo passo nel ricominciare a vivere con gli altri. Persone che in qualche modo hanno smesso di rispettare le regole fuori dal campo, riescono però con facilità a seguire ed accettare le regole del calcio, e questo apre spesso la strada a un completo recupero sociale”.